Intervento dell’ On. Sandra Zampa al seminario: “Un garante autonomo. Verso la legge sul Garante dell’infanzia e dell’adolescenza”organizzato dal Partito Democratico.Martedì 9 Dicembre ore 11-13 – Sala cinema – Hotel Nazionale – Piazza Montecitorio 131, Roma Sono grata alla vicepresidente della Bicamerale infanzia, la sen Anna Serafini, per aver promosso questo nostro incontro di oggi dedicato ad un tema di così grande significato che chiama in causa tutti i soggetti impegnati, a diverso titolo, nella tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.Auspico anche che il confronto e il dibattito su queste tematiche possa arrivare a coinvolgere positivamente l’opinione pubblica così da riuscire a contrastare la crescente tendenza, nel nostro paese, a relegare alla sfera del privato la cura delle bambine, dei bambini e degli adolescenti.L’affermazione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza si realizza, infatti, anche attraverso il coinvolgimento di tutte le componenti della società che devono poter acquisire una maggiore consapevolezza delle criticità e delle possibili risoluzioni dei problemi legati alla vita delle bambine e dei bambini del nostro paese, e non solo.Il nostro impegno, l’impegno della politica, deve essere orientato all’affermazione di una cultura che metta al centro, sempre, i bisogni dei soggetti più deboli e che condizioni positivamente le scelte di politica pubblica.Colgo l’occasione per fare solo un breve cenno alla recente normativa in ambito scolastico approvata qualche settimana fa, la Legge 169. Lo faccio per sottolineare ancora una volta quanto distante si collochi questa legge dai bisogni delle famiglie e dunque dei bambini e dei giovani. Penso in modo particolare al nostro meridione dove la Scuola rappresenta, in alcuni casi, la sola alternativa possibile ad un contesto sociale drammatico nel quale le “leggi” di mafia e delle organizzazioni criminali tendono a sostituirsi alla stato di diritto, in contesti nei quali i nostri giovani non trovano alternative ad un modello violento che li costringe in condizioni di vita drammaticamente diverse da quelle dei loro coetanei del nord e distanti da ciò a cui avrebbero diritto: istruzione, cultura, possibilità di affermazione, di occupazione. Per tutti, ma più ancora in questi territori, la scuola pubblica deve garantire parità di possibilità di inserimento nel mondo del lavoro, parità di possibilità di istruzione…Disconoscere e rinunciare al ruolo sociale che la scuola ha svolto nel nostro paese, togliere anziché potenziare un tempo scuola che sia davvero inclusivo, demandare alla sfera del privato le risposte ad esigenze e bisogni di una grande parte della società, è espressione di una cultura politica che non sa guardare all’infanzia e all’adolescenza come ad un bene sociale, che tende, in sostanza, a privatizzare e relegare nella sfera privata le risposte ai problemi che afferiscono invece anche alla sfera pubblica, alla comunità di cui le famiglie fanno parte.Nel nostro paese fatica ad affermarsi una cultura moderna dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Il quadro si aggrava se consideriamo, ancora una volta, la disparità di condizioni tra nord e sud del paese soprattutto per ciò che attiene il sistema di welfare e la possibilità di ottenere i servizi di aiuto e sostegno alle famiglie. La tendenza, emersa in molte sedi di confronto sui temi della scuola nelle quali sono intervenuta in questi ultimi mesi, di preservare le condizioni attuali nelle regioni del nord senza volgere lo sguardo alla difficile situazione vissuta da tante famiglie del sud, evidenzia l’urgenza di contrastare con scelte politiche precise l’idea di un federalismo impostato sull’egoismo sociale.Il quadro si aggrava ancor più se si considerano le gravissime condizioni in cui versano i bambini e gli adolescenti immigrati. Ho di recente ascoltato l’audizione del prefetto di Agrigento,Saladino,circa la condizione in cui i bambini e i ragazzini di soli 15 o 16 anni si trovano a vivere una volta arrivati nel nostro paese, quelli che riescono ad arrivare dopo aver magari attraversato a piedi vastissime regioni desertiche.Appare evidente che solo con un’azione comune, compiuta con il concorso di tutte le forze politiche e che coinvolga gli enti locali e le realtà associative che operano nei diversi territori si può tentare di restituire dignità e rispetto a quei bambini e ai quei ragazzi e sottrarli ad un destino fatto di paure, violenza, prostituzione.La proposta quindi di istituire un Garante nazionale a tutela dell’infanzia e dell’adolescenza che in modo autonomo e coordinato con i garanti regionali, svolga un’azione di stimolo, razionalizzazione, controllo e garantisca il rispetto dei diritti delle bambine, dei bambini e dell’adolescenti è non solo necessaria, ma davvero urgente.Ho preso l’impegno di trattare il delicato rapporto media – infanzia e adolescenza.Vorrei cominciare con l’ articolo 17 della Convenzione Onu (approvata il 20 novembre del 1989 a New York ed entrata in vigore il 2 settembre 1990. L’Italia ha ratificato la Convenzione il 27 maggio 1991 con la legge n. 176 e a tutt’oggi 193 Stati, un numero addirittura superiore a quello degli Stati membri dell’ONU, sono parte della Convenzione)che recita:
Articolo 17Gli Stati parti riconoscono l’importanza della funzione esercitata dai mass media e vigilano affinché il fanciullo possa accedere a una informazione e a materiali provenienti da fonti nazionali e internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale nonché la sua salute fisica e mentale. A tal fine, gli Stati parti:a) incoraggiano i mass media a divulgare informazioni e materiali che hanno una utilità sociale e culturale per il fanciullo e corrispondono allo spirito dell’art. 29;b) incoraggiano la cooperazione internazionale in vista di produrre, di scambiare e di divulgare informazioni e materiali di questo tipo provenienti da varie fonti culturali, nazionali e internazionali;c) incoraggiano la produzione e la diffusione di libri per l’infanzia;d) incoraggiano i mass media a tenere conto in particolar modo delle esigenze linguistiche dei fanciulli autoctoni o appartenenti a un gruppo minoritario;e) favoriscono l’elaborazione di principi direttivi appropriati destinati a proteggere il fanciullo dalle informazioni e dai materiali che nuocciono al suo benessere in considerazione delle disposizioni degli artt. 13 e 18.
Appare evidente come la Convenzione sottolinei soprattutto gli aspetti positivi che i media possono svolgere per la promozione dei diritti dei bambini e degli adolescenti, piuttosto che la loro pericolosità. La Convenzione in sostanza incoraggia a divulgare informazioni e materiali che abbiano un’utilità sociale e culturale e che promuovano alte finalità educative: i media infatti alimentano, animano e influenzano continuamente la vita intellettuale, affettiva e sociale di tutti e in particolare quella degli adolescenti; dai media i giovani attingono elementi importanti per costruire la propria identità e la propria visione del mondo, i propri modelli di salute, benessere, comportamento sociale, la rappresentazione del mondo del lavoro, del consumo, della società in generale. Si deve quindi tenere da una parte in grande considerazione il potere d’influenza dei media sui bambini e sugli adolescenti e dall’altra si deve poter garantire ai bambini e agli adolescenti parità di accesso ai media nel rispetto del diritto di tutti alla partecipazione.In questo ambito il ruolo della Rai, del servizio pubblico televisivo, assume un’importanza rilevante. Spetta al servizio pubblico radio televisivo il compito di garantire a tutti i bambini e agli adolescenti una programmazione ricca di stimoli e di contenuti che favoriscano la crescita culturale dei più giovani che non soggiaccia alle sole regole del mercato.Nel nostro paese, come altrove, l’accesso ai canali satellitari segna un altro confine di demarcazione tra le fasce che vi possono accedere e tra coloro cui è negata questa possibilità. La Rai ha già dimostrato di potere efficacemente intervenire in quest’ambito con programmi destinati ai più giovani e di alta qualità. Penso ai Tg dei ragazzi, alle trasmissioni per i più piccoli. Ma penso anche alla programmazione degli anni della mia giovinezza: le fiction tratte dai grandi capolavori della letteratura, le serie televisive che proponevano modelli positivi di aggregazione e di solidarietà (l’Odissea.I Promessi Sposi. I ragazzi di Padre Brown…). Il Presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi ebbe, durante il suo mandato, più volte occasione di ricordare l’importanza del servizio radio televisivo nazionale nella diffusione di messaggi che favorissero l’acquisizione, da parte delle più giovani generazioni, di una più matura identità nazionale, di un più diffuso senso di appartenenza, di una migliore conoscenza della nostra Costituzione e della storia del nostro Paese. Anche l’acquisizione dei principi di educazione al civismo, non solo per i giovani italiani ma anche per le famiglie e i ragazzi stranieri, può realizzarsi con il concorso del servizio pubblico radiotelevisivo. Abbiamo tutti memoria della trasmissione degli anni ’60 condotta dal maestro Manzi “Non è mai troppo tardi” dedicata al problema dell’analfabetismo degli adulti.Se dunque da una parte il Garante nazionale può svolgere azione di stimolo che possa contribuire alla ripresa di programmazioni radiotelevisive che si pongano in alternativa a certe produzioni di scarso profilo culturale, quando non portatrici di messaggi distorti e pericolosi, può al contempo, relazionandosi con le istituzioni preposte, svolgere una fondamentale azione di contrasto al dilagare di format televisivi che non solo veicolano, come si è detto, messaggi errati, ma diffondono un’idea dell’infanzia e dell’adolescenza distante dal vero, che tende a considerare i nostri bambini e i nostri adolescenti “oggetti da analisi di mercato”.Non basta, come si intuisce, la normativa vigente, a tutelare i diritti dei minori dalla distorsione possibile prodotta dai mezzi di comunicazione, si rendono necessarie politiche di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, di controllo e di stimolo coordinate da un soggetto autonomo.E se la televisione ha un ruolo fondamentale nella costituzione di modelli di riferimento per i giovani e concorre a produrre stereotipi spesso errati dei più giovani, non va trascurato il ruolo della stampa.Un’informazione giornalistica più attenta ed equilibrata può aiutare a comprendere meglio la realtà e i bisogni di bambini e delle famiglie e può dare una formidabile spinta per radicare nella società una cultura attenta ai diritti minorili.Ce lo ricorda ancora una volta l’articolo 17 della Convenzione Onu per i diritti del fanciullo, che sancisce il “diritto dei minori ad accedere ad un’informazione adeguata” e che ci rimanda anche alla necessità di garantire ad ogni ragazzo gli strumenti più opportuni per poter utilizzare al meglio, in maniera critica e consapevole, i mezzi di comunicazione. A questo si deve aggiungere il diritto dei ragazzi ad essere raccontati con attenzione e rispetto, in maniera tale che la rappresentazione della loro realtà non venga condizionata da generalizzazioni forzate e allarmismi strumentali.Una recente indagine condotta dall’Istituto degli Innocenti analizza il rapporto tra famiglie e nuove generazioni nel racconto fatto dai giornali italiani.L’immagine di un’infanzia coinvolta in un processo di “adultizzazione” precoce, in atto in Italia come anche in altri paesi, risulta amplificato negli eccessi dell’allarmismo giornalistico. Bambini che risultano essere genericamente definiti depressi, obesi, farmaco dipendenti, violenti e violentati è l’immagine che prevale dalla lettura della stampa. Ricreare una cultura del rispetto dell’infanzia costituisce invece una giusta causa cui anche la stampa può concorrere.Si pensi al fenomeno del così detto bullismo le cui implicazioni non posono essere sufficientemente affrontate solo sulle pagine di cronaca. Quali sono davvero i casi riconducibili a fenomeni di bullismo, quali gli atteggiamenti denunciabili e da registrare come devianti e quali invece rientrino nella normale esperienza della crescita di bambini e ragazzi che con i coetani si confrontano e si misurano in ogni senso, sono domande che richiedono una riflessione che non trova spazio, se non in casi rarissimi, sulle pagine dei giornali. Ma il rumore comunicativo che si crea attorno ai casi riportati dalla stampa alimenta l’immagine di adolescenti, addirittura di bambini, genericamente e massicciamente coinvolti da questo fenomeno a fronte, tuttavia, di episodi significativi di cronaca numericamente ridotti.E casi sono due: o scuola e famiglie assumono atteggiamenti omertosi di protezione o la stampa accoglie con troppa disinvoltura fotografie numeriche sovradimensionate rispetto alla reale natura di questo fenomeno che necessita invece di essere ricondotto in un dibattito che si allarghi al tema dell’educazione della formazione.Rimane da considerare, tra le tante osservazioni che meriterebbero una più ampia trattazione, il ruolo dei media nella diffusione di una immagine della società contemporanea violenta e che “fa paura”. Il recente Rapporto Eurispes su infanzia e adolescenza rileva che per il 22,6% dei bambini italiani la paura più grande è di essere rapiti. Segue un 16,3% che ha paura di essere avvicinato da sconosciuti mentre il 16,2% teme di essere coinvolto in attentati terroristici. Il 13,9% del campione intervistato ha paura di perdersi, il 13,5% di assistere a scene violente, il 12,6% di rimanere solo in casa e di essere picchiato da coetanei.Rispondendo alle domande relativa ai “pericoli vissuti” si nota come l’iper-rappresentazione mediatica dell’emergenza sicurezza nelle città abbia influenzato anche i piccoli italiani. Il 39,2%, infatti, non si è sentito al sicuro andando in giro per la città. Ma anche la propria abitazione (23,8%) e la scuola (10,1%) sono luoghi che non trasmettono sicurezza.La responsabilità delle scelte comunicative dei mass media che troppo spesso innescano allarmismi generici, che sbattono il mostro in prima pagina raccontando di delitti consumati in famiglie multi problematiche, generano nei più piccoli, e in certa misura anche negli adolescenti (per quanto riguarda gli adolescenti, la paura più frequente è quella di essere vittima di violenze sessuali (17%), seguita dal timore di essere importunati da sconosciuti (11%) e di essere rapiti (9,7%). Tuttavia, il 51,6% degli adolescenti italiani ha detto di non essersi mai sentito in pericolo) paure diffuse e incontrollate, diffondono un senso di sfiducia nei confronti del mondo degli adulti, vicini di casa, educatori, sconosciuti, mentre invece per la loro crescita i ragazzi avrebbero bisogno di serenità e di sicurezza.Non mi soffermo sulle tante “carte” che avrebbero dovuto mettere rimedio a distorsioni informative a danno degli adolescenti o a tutelare immagine, sensibilità e diritti dei minori. Troppo spesso sono disattese. I nostri schermi televisivi sono continuamente invasi da immagini drammatiche, violente, offensive ma anche semplicemente maleducate.Anche dalle considerazioni tra mass media, infanzia e adolescenza appare con tutta evidenza la necessità di un Garante che contribuisca alla piena realizzazione dell’art.18 della Convenzione delle Nazioni Unite che sancisce che gli Stati parti “provvedono alla creazione di istituzioni, istituti e servizi incaricati di vigilare sul benessere del fanciullo”. E’ tempo che il nostro paese colmi questo vuoto istituzionale.