Il destino incrociato di Porcellum e primarie
Articolo di Sandra Zampa su La Repubblica del 15 settembre 2012
L’ estate che ci lasciamo alle spalle segna la fine di una stagione ma solo dal punto di vista meteorologico. Tutt’ altro che chiusa è quella politica tanto da potersi rivelare decisiva per i destini del Paese e del Pd.
Un anno fa, più o meno in questi giorni, avevamo grandi speranze. A Bologna e in Emilia Romagna più che mai. Perché qui, nella città dell’ Ulivo, a firmare per il referendum contro la legge elettorale detta “porcellum”, arrivavano migliaia di persone informate da un passaparola spontaneo.
Lo stesso accadeva alle Feste del Pd che avevano aperto per prime i cancelli ai referendari così come ovunque si trovasse allestito allo scopo un semplice banchetto. Il “porcellum” era stato messo a punto da Calderoli per far saltare la quasi certa vittoria del centrosinistra guidato da Romano Prodi (che alle elezioni regionali 2005 aveva praticamente conquistato tutto e si profilava vincente ad ogni sondaggio).
Ma era stato votato anche dal partito di Fini e di Casini che, in seguito, sono sembrati del tutto sollevati e dimentichi del peso di questa loro grande responsabilità politica. Sapevano e sanno, probabilmente, che l‘ Italia dimentica in fretta. Una gran brutta abitudine che può costare molto. Agli italiani più che a loro.
La partita che è in gioco, la più grande, è questa: quale legge ci attende dopo la bocciatura del quesito referendario? Un ritorno al proporzionale ci farebbe ripartire dal via, dagli anni della prima Repubblica, quelli del debito pubblico e della partitocrazia. E metterebbe a serio rischio il progetto nato dall’ Ulivo.
Su questo sfondo si collocano le primarie del Pd, costrette a misurarsi con l’ incognita dell’ esito della riforma elettorale. Ma quel risultato è tutt’ altro che estraneo alle primarie, al loro senso ed efficacia. A che ci servirebbe scegliere il candidato alla Presidenza del Consiglio, se questo con il suo governo, fosse scelto dopo il voto non dagli elettori ma dai capipartito una volta eletti?
Preceduto da polemiche e seguito da commenti e giudizi, il cosidetto “ciclone” Renzi (definizione che gli deriva dalla foga con cui si è contrapposto all’ oligarchia del partito) ha attraversato Bologna lasciando entusiasmi tra chi già era entusiasta, forse nuove adesioni, curiosità soddisfatte, scetticismi, diffidenze.
Ci si interroga, a Bologna, come a Roma, su come finirà e c’ è anche chi “si mangia le mani” al pensiero che il segretario Pier Luigi Bersani quelle primarie poteva benissimo risparmiarsele, perché lo statuto non le prevede (in effetti, la regola approvata dal Pd di Veltroni, indica nel segretario del partito il candidato alla presidenza del Consiglio).
In questo modo però non solo non si valorizza la generosità del segretario Bersani, ma neanche la sua intelligenza: chi uscirà vincitore dalle primarie sarà più forte. Ma, soprattutto non risulta compresa la novità che il Pd ha portato o, meglio, avrebbe dovuto portare con sé. Lo testimoniano anche le polemiche sull’ intenzione annunciata ieri da Renzi di raccogliere il voto del centrodestra se le primarie lo incoronassero vincitore (e non certo da usare per vincere le primarie, violazione che meriterebbe l’ espulsione dal campo di gioco) soprattutto ora che i sondaggi segnalano l’ enorme incertezza dell’ elettorato cattolico deluso da Berlusconi.
Le primarie non sono una prova di libertà fine a se stessa. Sono uno strumento di crescita e di rafforzamento anche del partito. Al termine di questa maratona, che avrà inevitabili momenti di tensione per tutti (quando si deve scegliere si deve escludere qualcos’ altro o qualcun altro), il Pd sarà più forte, più combattivo, più determinato nella ricerca della vittoria come lo è stato il partito di Obama tutt’ altro che indebolito dal confronto duro con la tostissima Hillary Clinton. E questo significa anche portare via voti all’ avversario.
Ma da queste primarie emerge un altro punto irrisolto che segnala la fatica dei figli nel realizzare l’ innovazione immaginata dai padri dell’ Ulivo prima, del Pd poi. Quella fatica o immaturità è stata segnalata con evidenza dall’ acuta (e provocatoria) critica di Parisi a proposito delle celebrazioni del “Migliore”, arruolato d’ ufficio tra i padri di un partito che nasce- è pur vero- dalla grandi tradizioni politiche del passato ma come un partito nuovo. Non è questione d’ orgoglio o di abiure. E’ questione di identità irrisolta.
Il Pd vero sarà quello dei “nativi” per citare Bersani. Queste sono le ambiguità cui Bersani e Renzi e con ogni probabilità Laura Puppato, dovranno rispondere mentre ci dovranno dire quale Italia immaginano, quale programma ci propongono, come intendono realizzarlo e soprattutto con chi pensano di governare l’ Italia. Ma la prima battaglia che dovranno combattere (forse troppo tardi) è per la legge elettorale.