“Il Pd ora diventi quel che non è mai stato”
Intervista di Michela Scacchioli a Sandra Zampa su La Gazzetta di Reggio del 27 maggio 2013
“La carica… ai 101”. Il titolo dell’assemblea pubblica che si svolgerà stasera nella sede Pd di Roncocesi, da solo, dice già molto. A organizzarlo, il circolo 2 del partito, quello presieduto dal consigliere comunale Andrea Capelli. A “dare la carica”, però, ci penserà Sandra Zampa (intervistata dal democratico Andrea Montanari), parlamentare democratica a Montecitorio e portavoce di Romano Prodi, che auspica una fase congressuale caratterizzata dalla “rabbia”, con l’obiettivo di dar vita a un Pd che sia «quel che non siamo mai stati capaci di essere». E con una visione: «Se non sarà così, a loro lasceremo la bad company, e noi daremo vita alla new company».
Zampa, qual è lo stato di salute del Pd oggi?
«E’ molto critico. Negli ultimi mesi sono esplose le contraddizioni, ma il problema che c’è nel partito non riguarda un nome».
Si riferisce a Romano Prodi e ai 101 franchi tiratori…
«Si è trattato di un tradimento. Quella vicenda testimonia una slealtà che fa di noi una “non comunità”. Oggi non sai più se colui che ti è seduto affianco ti può imbrogliare oppure no. Il punto, però, è che il Pd nasce come partito dell’alternanza. Tuttavia, ci ritroviamo al governo con il Pdl. Va da sé che un grosso problema oggi il Pd ce l’ha. Perché noi siamo arrivati dove non dovevamo essere. E questo concetto ci viene ripetuto tutti i giorni dai cittadini».
In molti chiedono a gran voce che questi 101 escano allo scoperto.
«Costoro hanno il dovere morale di dire chi sono. A parte il fatto che, conti alla mano, potrebbero anche essere 115. Ma, al di là della cifra, rimanere nell’ombra è ignobile: la gente, così, non si fiderà mai più di noi. Stiamo vivendo un drammatico scollamento tra noi, dirigenti del partito, e l’elettorato».
Quindi?
«Quindi, un’assunzione di responsabilità dal punto di vista della correttezza etica renderebbe più trasparenti le relazioni e permetterebbe la riapertura del dialogo. Perché è chiaro che dietro a quel che è accaduto sull’elezione del presidente della Repubblica c’era un chiaro disegno politico».
Vale a dire?
«Vale a dire, sì alle larghe intese. Franco Marini, dal canto suo, l’ha anche detto: per lui le intese, più che larghe, avrebbero potuto essere medie. Con Romano Prodi, invece, le intese non ci sarebbero mai state».
Lei Prodi lo conosce benissimo: è per questo che il Professore non rinnoverà l’iscrizione al Partito democratico?
«La tessera di Prodi è lì, al circolo. Lui deve ritirarla. Ma sarà lui a spiegare se, quando e perché».
In queste ore in molti Comuni italiani si vota per le amministrative. E c’è chi dice che il Pd stia vivendo una sorta di “incubo dell’irrilevanza”. Da qui, un asse Epifani-Letta per far slittare il congresso di partito addirittura al 2014. A lei l’idea piace o no?
«No, rinviare sarebbe un errore enorme. Perché a questo punto bisogna riuscire a tenere ben distinti i due piani».
Quali piani?
«Quel governo che non avrei mai voluto vedere oggi comunque c’è. E deve preoccuparsi di risolvere i problemi della gente, delle famiglie, e dei giovani. Ma la politica – e qui mi riferisco al partito e al suo congresso – non può rassegnarsi in alcun modo né soccombere. I nodi che intrecciano il Pd vanno affrontati il prima possibile, perché quei nodi, oggi, sono già marci».
Tra i tanti nodi, ce n’è anche uno che riguarda una differenza di vedute interna sul finanziamento pubblico ai partiti. Matteo Renzi ancora ieri ha detto: basta soldi, anche a noi.
«In taluni passaggi il nostro Paese è schizofrenico. A mio avviso il problema sono i controlli. E l’approccio corretto sarebbe quello anglofono».
Sta dicendo che lei i rimborsi li vuole?
«Dire “zero rimborsi” è ipocrita tanto quanto continuare a sprecare soldi. Io dico che occorre una legge ferrea, che contempli controlli severissimi. Ma un co-finanziamento da parte dello Stato ci vuole: a questo co-finanziamento, tuttavia, va messo un tetto ben preciso. La legge, inoltre, dovrebbe far sì che tutti possano sapere come viene utilizzato quel denaro».
Stasera a Reggio lei avrà davanti molti giovani che con questo Pd sono particolarmente critici. Al punto a cui si è arrivati, crede che la soluzione possa essere ancora interna al partito o, piuttosto, necessariamente esterna?
«I dubbi sulla possibilità che il Pd, così com’è, sopravviva sono davvero tanti. Poi però ti accorgi che quando questi dubbi li esterni, la gente è presa dal terrore. E allora, l’unica via d’uscita è che il Pd arrivi a essere quel che non siamo mai stati capaci di essere».
Tipo?
«Un partito “leggero”, vale a dire non ingessato e non ipocrita. Un partito giovane e dinamico, che non ragioni più per logiche di corrente. Renzi ha detto che la rottamazione è finita, e che ora dobbiamo passare alla fase 2. Ma, da quel che vedo, il ricambio non c’è mica stato: la situazione attuale altro non è che la sintesi di vecchie logiche come anche l’esito dato dagli interventi di vecchissime personalità».
Meglio dar vita a qualcosa di diverso dal Pd?
«Lo vedremo al congresso. Io spero solo che la rabbia che ci ha accompagnati fin qui continui a esserci sino ad allora. La rabbia dei più giovani, la rabbia dell’area critica – da Civati alla Puppato – deve accompagnare la fase congressuale».
Sennò?
«Sennò a loro lasceremo la “bad company”, e noi faremo la new company».