Dal teatro del Pratello al CIE: così gettiamo via una giovane vita
Articolo di Sandra Zampa su La Repubblica del 18 febraio 2013
Tra i luoghi della “sofferenza” che Bologna ospita, il Centro di identificazione ed espulsione (CIE) di via Mattei continua ad emergere per gravità.
È di qualche giorno fa un eccellente resoconto a firma Pleuteri pubblicato su questo giornale (che non ha mai oscurato il
tema) sui complicati aspetti economico-finanziari legati alla gestione di luoghi come quello. Recente anche la notizia che a Modena il gestore del locale CIE, l’Oasi, lo stesso che ha vinto l’appalto al massimo ribasso a Bologna, non riesce a pagare da quattro mesi lo stipendio ai lavoratori assunti e giustamente esasperati.
Come è noto il Ministero dell’interno ha deciso nei mesi scorsi di intervenire in un’ottica di risparmio anche “sull’inferno” che i CIE rappresentano per gli immigrati.
In quei luoghi di detenzione dove sono trattenuti con il “sarcastico” appellativo di “ospiti”, finiscono a convivere in uno squallore che ben ha descritto il sindaco Virginio Merola quando, al termine della sua visita ha parlato di “un cuore di tenebra nella città medaglia d’oro” per la Resistenza, immigrati che hanno soggiornato e lavorato a lungo nel nostro Paese, ex carcerati, irregolari colti a delinquere, ammalati psichici e non solo, donne vittime di tratta, stranieri richiedenti asilo politico.
Ci finiscono giovanissimi stranieri giunti in Italia ancora in età minore e magari transitati già dal carcere minorile perché nessuno ha saputo offrire loro una possibilità di futuro normale. Ho appreso, durante la mia ultima visita al Pratello, il 15 febbraio, che il giovane marocchino in abiti d’attore nello spettacolo messo in scena in carcere poco prima di Natale con la regia di Paolo Billi e da tanti di noi applaudito, scontata la pena e lasciato il Pratello si è consegnato alla questura della città dove era stato arrestato.
Lo hanno messo nel CIE cittadino in attesa di identificarlo ed espellerlo. Cosa che non avverrà mai, visto che non ci sono riusciti fino ad ora: é stato sottoposto già ad un processo e ha scontato la sua pena in carcere.
“Aveva partecipato alla preparazione dello spettacolo- mi ha riferito uno degli educatori- era stato bravo, si era appassionato e aveva lavorato con serietà”. Tanto che c’era e c’è una rete di volontari disposta ad aiutarlo ad inserirsi e a trovare una vita normale, fatta di lavoro e affetti, a casa nostra.
Eppure questo ragazzo, uno dei tanti “ospiti” dei CIE, ora è rinchiuso là e sa che potrebbe restarci 18 mesi. Un tempo assurdo per una sola vita. Invece che ridurre questo periodo che fa dell’Italia un’anomalia in Europa, e che il governo berlusconian-leghista ha voluto così lungo, il governo Monti ha scelto di tagliare i costi risparmiando sulla qualità di vite disperate.
E per far tornare i conti, quando si adotta la via del massimo ribasso, bisogna fare in modo che i CIE siano pieni. Più ospiti ci sono, più si riesce a far reddito visti i costi fissi. Più é vuoto, più é necessario tagliare sui costi fissi a scapito della qualità della vita
dei trattenuti.
Per questo, pur dettata dalla volontà di migliorare una situazione di degrado intollerabile, é da bocciare la scelta del Ministero di concedere un finanziamento straordinario per “sistemare” il CIE di Bologna.
Perché buttare 150mila euro per sistemare provvisoriamente una struttura fatiscente che sarebbe meglio chiudere definitivamente?
Esistono alternative ai CIE. Le aveva individuate la Commissione De Mistura per il governo guidato da Romano Prodi. La prima è il rimpatrio volontario. Ripartire da lì è una questione di civiltà. Oltre che di uso intelligente delle risorse pubbliche.
(l’autrice è deputata del Pd)