Intervento di Sandra Zampa alla celebrazione del 96° anniversario del Genocidio degli Armeni presso l’Intergruppo Parlamentare: “Amicizia Italia – Armenia” in collaborazione con l’Ambasciata della Repubblica d’Armenia – Martedì 19 aprile 2011 alle ore 11.30 presso la Camera dei Deputati della Repubblica Italiana
Care amiche, cari amici,
due parole di presentazione dell’iniziativa e di introduzione dei nostri ospiti come presidente dell’Intergruppo parlamentare di “Amicizia Italia-Armenia”, fondata dalla senatrice Albertina Soliani nella scorsa legislatura.
Ci troviamo oggi, ancora una volta in un giorno d’aprile, mese doloroso nella memoria armena, a ricordare ciò che avvenne nel 1915 non solo per commemorare le vittime dello “sterminio razziale” (secondo l’espressione dello stesso Henry Morgenthau) ma perché sentiamo il dovere di compiere quel percorso di verità storica che non si è ancora compiuto. Non è un atto fine a se stesso. Noi non lo consideriamo tale almeno. Noi non pensiamo solo che la storia non si possa cancellare seppure nella sua complessa verità. Pensiamo anche che solo e soltanto sulla giustizia si possano basare decisioni di pace e pacificanti per le relazioni tra i popoli, e passi ulteriori verso la costruzione di una comunità internazionale più coesa. Ma per avere pace, occorre giustizia e non ci può essere giustizia senza verità. Pensiamo che sia tempo di affermare che quello che ebbe inizio il 24 aprile 1915 quando i capi della Comunità armena di Costantinopoli vennero arrestati, deportati e uccisi per scelta delle autorità turche, fu il primo sterminio di massa del XX secolo. Il massacro toccò anche a donne, bambini, anziani. Un milione e mezzo di persone, la cui tragica e violenta scomparsa dalla storia è stata via via avvolta dal silenzio della discreta diplomazia della comunità internazionale.
A cominciare dalla Turchia che, dopo la caduta del regime dei “Giovani turchi”, istituisce una Corte marziale per giudicare i colpevoli dello sterminio, salvo scioglierla prima che questa termini i lavori. La ricostruzione storica ha a disposizione ormai molti materiali su cui esercitarsi. E’ del 2006 un importante saggio di Marcello Flores che colma una lacuna storiografica nel nostro Paese. Fino a quella data infatti, il lettore italiano interessato a conoscere i fatti poteva disporre di alcuni testi tradotti dall’inglese o dal francese e non di storiografia originale. Proprio Flores ci insegna però che se la realtà è innegabile, deve essere ancora in larga misura interpretata.
Ciò significa che mentre il fatto del genocidio non può quindi essere realmente essere messo in dubbio a livello storico, le sue origini e modalità possono e debbono invece divenire oggetto di approfondimento.
Proprio a questo riguardo risulta preziosissimo il contributo che arriva dal Diario di Henry Morgenthau, ambasciatore americano in Turchia all’epoca dei massacri la cui terra tombale è tumulata a Yerevan nel “Muro della memoria” dal 1999. Ed è alla riflessione di Morgenthau che gli storici e noi tutti dobbiamo la definizione di “sterminio razziale” per descrivere ciò che cominciava ad accadere. Il tragico termine “genocidio” comparirà solo nel 1943 con stringente riferimento ai fatti dell’Armenia per definire ciò che stava accadendo in Polonia per mano nazista, alla ricerca di un termine legale che comprendesse la scelta razzista e la volontà di sterminio. Raphael Lemkin identificò nello sterminio degli armeni del 1915 il precedente storico che si attagliava al dramma del presente.
Ma ciò che mi sta maggiormente a cuore in questa sede, nella quale intervengo come parlamentare, è comprendere ed esplicitare quel che considero il ruolo della politica e il rapporto tra politica e storia. Un nesso fortissimo. La politica scorre nel fiume della storia e ne viene in parte forgiata ma anch’essa, con il suo afflusso, contribuisce a determinare il percorso del fiume.
Quando nel 1970, a Varsavia, Willy Brandt si inginocchiò chinando il capo al monumento delle vittime del Ghetto ebreo, in quel momento, seppe assumere su di sé e su quel presente, le colpe di un passato che altri avevano determinato. Quel gesto seppe far camminare la storia. Il muro cominciò a sgretolarsi allora, nei giorni della Ostpolitik. A Brandt quel gesto valse il Nobel per la pace. La politica può essere grande. Ma per essere all’altezza della sua funzione nella società e nella storia degli uomini deve assumere come un dovere il coraggio della verità. Nella tragica vicenda dell’Armenia invece, la politica ha fatto troppo spesso registrare un ritardo o una discrasia con la realtà, che è la verità storica. Come è possibile che ci si imbatta nell’uso del termine “genocidio” o nell’esplicito riconoscimento che quanto avvenuto in Armenia fu uno “sterminio razziale” nei testi degli storici e provare imbarazzo nell’usarlo in politica? Infine, come pensiamo che la Turchia possa aspirare all’ingresso in Europa senza avere riconosciuto le proprie responsabilità storiche e rinnegato il passato tragico del proprio Paese?
L’ipocrisia della diplomazia o il timore della verità non aiuteranno nessuno a fare un passo avanti verso istituzioni più vicine agli uomini e alle donne di questo nostro continente. Lo hanno compreso molti Stati e molte istituzioni internazionali. Dal Parlamento francese al Parlamento di Svezia fino alla Commissione esteri del Congresso americano. Anche l’Italia, ma solo alla camera dei deputati, ha approvato una mozione con un voto trasversale alle forze politiche.
E’ tempo di fare un passo ulteriore. La storia lo chiede e l’Italia ha doveri nei confronti degli armeni italiani che contribuiscono alla crescita del paese, ne rispettano le leggi, e lo onorano come propria patria.
E’ tempo di una memoria condivisa che ci renda consapevoli del male che ha operato e può operare per mano di uomini. Gli armeni lo hanno chiamato “Grande Male”. Noi dobbiamo riconoscerlo come tale sempre per poterci ripetere che non lo lasceremo accadere mai più in nessun luogo della terra.
On. Sandra Zampa