Lettera di Sandra Zampa al Direttore de Il Corriere della Sera (Ed. Bologna) del 26 maggio 2010
Torno a chiedere spazio per far comprendere perché ritengo necessario un sistema di “controinformazione” del PD anche a Bologna.
Da giornalista ho avuto la possibilità di osservare e valutare le dinamiche dell’informazione fuori e dentro alle istituzioni e alla politica. E non ho mai apprezzato l’informazione gridata, faziosa, ‘taroccata’ quando non addirittura falsa. La riflessione che oggi (ieri, per chi legge) il suo giornale pubblica sull’antipolitica e le colpe dei partiti (“La prima pietra“), contiene elementi di verità. Denuncia il male che consuma il sistema politico da tempo e che consiste nella sua sempre maggiore incapacità di risolvere i problemi della nostra vita. Un male che deriva dal rifiuto di assumere decisioni impopolari. Siamo andati avanti per troppi anni sperando nello stellone, tollerando il mancato rispetto delle regole e facendo finta di non vedere i problemi. Erano necessarie serie riforme e, invece, per dirla con i bolognesi, ci abbiamo “messo una pezza”. E’ accaduto anche a Bologna? Ovviamente sì, non siamo un’isola. Ma qui abbiamo vissuto dei benefici di serie politiche amministrative che sapevano guardare lontano.
Oggi le cose sono peggiorate, sostiene il Corriere di Bologna, per colpa di chi governa o di chi rappresenta la maggioranza. Mi pare che con trasparenza e onestà il Partito Democratico, di cui sono orgogliosa di far parte, abbia definito e dichiarato le sue responsabilità. Ma è anche vero che la politica e i partiti non sono che lo specchio della società che li esprime. Nella complessità dei problemi dei nostri giorni, anche l’informazione, voce della società, è chiamata ad assumersi le proprie responsabilità. Sparare nel mucchio, buttare in pasto alla pubblica opinione notizie sbagliate, o false, produce un danno gigantesco, tanto più grande oggi quando una notizia passa da un sito all’altro, si “espande” ed entra irreversibilmente in circolo. E’ tanto più grave quando, come ai nostri giorni, lo scollamento tra società e istituzioni è sotto gli occhi di tutti.
E’ vero. Non è colpa dei giornali se l’ondata dell’antipolitica è arrivata. Ma è vero che anche l’informazione ha una parte in questo fenomeno.
Ho vissuto la straordinaria esperienza di vivere da Palazzo Chigi quei diciotto mesi difficili eppure entusiasmanti. Quel governo fece, con quattro anni di anticipo su quel che oggi esplode, tagli alle auto blu, tagli ai compensi dei politici (a partire da quelli del premier), taglio radicali dei voli di stato, regole severe sui “doni” e altro ancora. Quelle scelte di grande valenza simbolica ebbero scarsa eco sulla stampa e ogni volta che ne ho parlato ai nostri elettori, loro, non senza rabbia, mi hanno chiesto: “perchè non l’avete fatto sapere?”. Quella rabbia è il segno di una voglia di reagire, di combattere, di ottenere giustizia. E già questo basterebbe a dire che noi abbiamo il dovere di far sapere ai nostri militanti, ai nostri elettori e simpatizzanti (almeno a loro), come li rappresentiamo e come interpretiamo i valori in nome dei quali chiediamo consenso. E che i giornali, se vogliono essere la voce della società, devono trovare modo di parlare di tutto.
Ma c’è di più. Quando l’informazione non insegna a distinguere e fa di tutti un uno, spalanca le porte all’antipolitica, perché se siamo tutti uguali come si fa a scegliere chi va premiato e chi va bocciato? Così si spegne anche la speranza di poter cambiare qualcosa e la voglia di partecipare.
Io ho un sogno: che si possa riaccendere la speranza di fare meglio, tutti insieme, proprio come avvenuto nella Bologna del Dopoguerra e in tante parti. Io sogno un’informazione che sia capace di far sapere alla gente che anche uno solo tra i tutti è meritevole e può ancora far sperare qualcuno in qualcosa di meglio. Un’informazione migliore può aiutare la politica ad essere migliore ma, soprattutto, può aiutare la società a capire e scegliere.
Roma, 25 maggio 2010