Un partito regionale e federato
Un “Prigione” che tenta di liberarsi dal blocco della materia in cui è stato scolpito.
Articolo di Sandra Zampa su Europa quotidiano del 7 aprile 2010
Il Pd che esce dalla consultazione elettorale del 27 e 28 marzo, mi ha fatto pensare ai celebri Prigioni di Michelangelo, fermo com’é alla potenzialità di un progetto che nella mente dei padri e nostra, avrebbe dovuto esprimersi e trovare consenso in una larga parte della società italiana.
Un partito che, invece, è immobile e, per questo, rischia di disperdere il potenziale iniziale. Dal 2007 ad oggi si sono passati il testimone tre segretari: Veltroni, Franceschini e Bersani. Ma il Pd non decolla. Oggi dobbiamo prendere atto che, così procedendo, si corre il rischio di perdersi senza traumi né dolore. Bersani ha detto: «Siamo in piedi». È vero: siamo ancora in piedi ma sembriamo terrorizzati all’idea di muovere i primi passi. Non abbiamo appeal sull’elettorato che con il voto delle regionali ha presentato anche a noi il conto dell’antipolitica.
La vittoria del Piemonte e\o del Lazio ci avrebbe aiutato psicologicamente a sentirci più forti ma in termine di numeri assoluti in realtà avrebbe mutato di poco il quadro della riflessione. Che dovrebbe partire da un elemento: non c’é nessun partito, a parte quello di Grillo e dell’astensione, ad essere preceduto da un segno positivo. È la Lega ad aver perso meno di tutti (-147.305 voti). È il Pdl ad aver perso più voti di tutti. Ma questo può consolarci? Il fatto che una parte sempre più grande della società italiana si sia rifugiata nel classico “voto” di protesta, l’astensione, o nella più colorita espressione della protesta rappresentata da Grillo (un leader politico o un comico in canotto?), pone un grandissimo problema al partito dei democratici. A noi più che agli altri non fosse che per un’evidente ragione: siamo il partito d’opposizione. Stiamo in campo per raccogliere la più larga parte del dissenso nei confronti del governo in carica e dei partiti che lo sostengono. È presso di noi che chi dissente dalle politiche di governo in atto deve trovare ascolto e risposta.
E invece non è andata così. Gli elettori ci hanno detto, con il loro voto, che gli piace sempre meno il governo ma neanche noi gli piaciamo. Eppure Bersani – concordo con chi l’ha fatto notare – si è davvero speso per fare in modo che andasse diversamente. Ha fatto tutto quello che poteva. Dunque? Dunque c’è un problema che riguarda tutto il gruppo dirigente. Ma che comincia con la falsa partenza del Pd (siamo partiti dal dialogo con il Cav, ricordate?) e prosegue con i cambi di rotta che ci hanno portato fin qui. Penso che abbiamo pure pagato il prezzo dell’aver cambiato tre segretari in tre anni. Che messaggio può mai essere arrivato alla nostra gente che cerca coerenza, saldezza, idee e parole chiare? E il prezzo delle divisioni, delle correnti e delle sottocorrenti che si è persino aggravato –perché istituzionalizzato – dopo il Congresso.
E poi c’è il prezzo degli “scivoloni” che tradiscono linee politiche mai discusse e neppure confessate: la vicenda di Vendola in Puglia. C’é il prezzo di uno scarso coraggio e coerenza nella scelta delle alleanze (che devono partire dalla condivisione di una nostra autonoma linea politica e di un programma).
Infine c’è quello della qualità della classe dirigente dal punto di vista dell’etica. Mi limito a due casi. La vicenda giudiziaria in Puglia e il “caso” Delbono in Emilia-Romagna. L’ex sindaco di Bologna ha commesso “leggerezze” che hanno avuto lo stesso peso elettorale di colpe assai piu’ gravi: i “grillini” (percentuali da record nazionale) e gli astenuti nella mia regione sono passati da lì. E Vasco Errani si è trovato in carico il problema nazionale e quello locale! Ha dovuto affrontare una battaglia elettorale piena di fango ed è riuscito a vincere una partita che, senza di lui, sarebbe stata persa. Ma a guardare come sono andate le cose anche prestando attenzione a quelli che hanno vinto in situazioni difficilissime (Brivio contro Castelli, per esempio), si deve prendere atto che un partito nazionale così come l’abbiamo conosciuto fino ad ora non è più in grado di conquistare elettorati interessati sempre più da problemi locali. Il caso del nord parla da sé. E il sud, sempre più abbandonato a se stesso, avrà bisogno di trovare risposte a problemi strutturali e giganteschi.
Tre Italie escono dalle urne. Non è dunque arrivato il momento di pensare a un partito strutturato su base regionale? Un partito che si costituisce con un’ampia autonomia interna in ogni regione (Pd lombardo, laziale, toscano) e che è strettamente tenuto assieme dall’obbligo di federarsi al Pd nazionale che mantiene al centro la capacità di decisione sui temi politici di maggiore rilevanza.
Lo ha proposto diversi mesi fa Romano Prodi, e, in una versione un po’ diversa, ne hanno parlato nei giorni scorsi Chiamparino e Cacciari. Un partito così strutturato avrebbe il merito di mettere in campo una classe dirigente assai vicina alla gente e certamente più nuova. Ma c’è dell’altro oggi da fare con urgenza: c’è da mettere in campo il coraggio di andare controcorrente. Accettiamo le sfide e rilanciamo. Innoviamo. Tiriamo fuori la forza delle idee, l’idea di un paese diverso.
Sandra Zampa