Certi giornali vanno tutelati – di Sandra Zampa – Europa pag.1
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Sta scritto così nella Costituzione italiana eppure, oggi, sono almeno 20 i quotidiani e diverse decine i periodici messi a rischio dall’articolo 44 del decreto Legge 112 (oggi Legge 133). La fatica di tanti, spesso accompagnata da un impegno davvero straordinario e da sacrifici anche personali (stipendi ridotti, strumenti di lavoro non d’avanguardia, condizioni di lavoro più dure di quelle dei colleghi “più fortunati” perché dipendenti dei pochi grandi gruppi editoriali italiani) resa inutile dalla decisione del Ministro Tremonti che con un drastico taglio alle risorse destinate all’editoria sostituisce la necessaria riforma del sistema penalizzando proprio le imprese he hanno più bisogno di sostegno.Perché se il decreto del ministro passerà così com’è ci sarà una vera e propria decimazione del numero dei quotidiani e dei periodici diffusi in Italia.
A rischio ci sono giornali che hanno raccontato la storia del Paese da un punto di vista dichiaratamente “di parte”, come Il Manifesto, Liberazione, Avvenire.E proprio la loro capacità di esprimere “un preciso punto di vista” ha dato vita a quella condizione che chiamiamo “pluralismo” dell’informazione e arricchito la nostra democrazia.Ma alle testate “storiche” si sono via via aggiunte negli anni iniziative editoriali di più recente data, spesso attentissime alla cronaca locale e perciò preziose per le comunità alla cui ricchezza d’espressione concorrono.Si tratta di quotidiani che, tra l’altro, hanno saputo proporsi come vere e proprie palestre di nuove firme, luoghi di formazione per i giovani usciti dalle scuole di giornalismo, e sedi ospitali di voci significative delle comunità locali o di testimoni della sua storia. E’ il caso de Il Domani di Bologna, un quotidiano della mia città, ma anche la Voce di Mantova, il Corriere mercantile, il Corriere della Romagna, Bari Sera.
Per portare questi giornali in edicola, ogni mattina, o con cadenza periodica, si sono costituite cooperative di giornalisti alla cui sopravvivenza concorre l’impegno e il sacrificio di chi ci lavora. Ma tant’è. A Tremonti tutto questo interessa poco.
Noi lo definiamo pluralismo dell’informazione ma si sa che per gli esponenti del Partito delle Libertà pluralista deve essere solo l’impero mediatico del Cav. Nel senso che è a lui che devono continuare a fare capo in numero plurale televisioni, quotidiani e periodici.Come si fa a dimenticare l’esordio dell’attività parlamentare della maggioranza che sostiene il governo Berlusconi con quell’impegno straordinario per Rete4, condotto anche al prezzo di bloccare i lavori parlamentari? Come si fa non ricordare oggi che per non restituire le frequenze di Rete4 il Cavaliere si è esposto alla critica del Financial Time che, a due sole settimane dall’insediamento del suo governo, l’ha accusato di badare troppo agli interessi personali? E che perfino Libero gli sconsigliò di continuare quella dannosa battaglia in Parlamento?
Negli ultimi anni i finanziamenti pubblici destinati all’editoria sono stati ridotti. Dai 414 milioni del 2007 si è scesi ai 387 del 2009. Nel 2006 ne erano stati messi a disposizione 540 e questa somma non aveva neppure coperto il fabbisogno.E’ una precisazione necessaria per valutare appieno cosa accadrà ora che Tremonti toglie con il suo decreto 83 milioni di euro ai 387 del 2009 (il valore della copertura delle sole spese postali pesa 305 milioni a cui vanno aggiunti 44 milioni per un vecchio debito con Poste italiane).
Non è tutto. L’aspetto più grave del provvedimento del governo è che esso incide non solo sulla quantità ma sulla natura del finanziamento eliminando il cosiddetto “carattere soggettivo” del contributo. Ovvero il diritto ad ottenere il contributo in base al regolamento. Ora infatti il contributo viene erogato “nei limiti” del bilancio.E’ questa condizione a mettere le aziende più fragili e piccole (quelle voci del pluralismo che richiederebbero la massima attenzione e sostegno) in una difficoltà insuperabile perché impedisce loro di fare i propri bilanci e di avere accesso alle anticipazioni bancarie. Per molti (certo non per Mondadori, RCS, o Sole24ore) significa licenziamenti e chiusura.
Possiamo tollerarlo? Per parte mia, e insieme a tanti, dico di no.Dico che con tutto il mondo dell’informazione dobbiamo mobilitarci per evitare la cessazione delle voci dei giornali cooperativi e non profit e per esigere dal governo (a proposito: che fine ha fatto il sottosegretario all’editoria Bonaiuti?) un disegno organico sull’editoria che sia frutto di una discussione comune nel rispetto della Costituzione.L’informazione, lo insegnano in tutti i Paesi democratici (per approfondimenti rivolgersi alla London School), non è un “normale” settore di mercato: ha a che fare con il Potere, con la libertà, con i diritti. Va salvaguardata, tutelata, fatta crescere e diffusa. A cominciare dalle voci più “piccole” e “fragili”.