Sono due i temi che vorrei affrontare in questa comunicazione. Si tratta di “FaBo”, la Fabbrica di Bologna e la manifestazione che il PD ha promosso a Roma contro la manovra del governo.
Due momenti slegati tra loro, ma ugualmente indicativi di un cambiamento di clima nel Partito Democratico e in quella parte di società che, in qualche modo, guarda con interesse al centro sinistra e chiede di essere ascoltata e accolta nelle sue diverse forme di partecipazione a un comune disegno politico. Con la sua riapertura, benché in forme innovate, la “Fabbrica” non poteva non rievocare i giorni che prepararono la vittoria del centro sinistra sulla destra di Berlusconi nel 2006 e il protagonista principale di quella stagione, Romano Prodi.
Nulla è più come allora. Eppure c’è chi ha ipotizzato, sperando o temendo, un “ritorno” del Professore, magari per interposte persone.
Del rischio eravamo consapevoli. Ne erano soprattutto consapevoli i “promotori“, Antonio Bagnoli, Giulia Carpinelli, Carla Falchieri, Piera Magnatti, Giovanni Mazzanti, Isabel Muratori, Paolo Rebaudengo e Alessandro Serra che ne è il portavoce. Un gruppo di bolognesi “doc” e d’importazione che si è posto al servizio della città, in vista dell’appuntamento con le urne e che si è rivolto a Giulio Santagata, inventore della fortunata formula, e a me, che l’ho conosciuta negli aspetti positivi e in quelli negativi del suo frenetico lavoro quotidiano, perché ne diventassimo i “consulenti”.
Quella formula che Vendola ha saputo far propria in occasione delle elezioni regionali della Puglia comprendendone la grande portata innovativa per la comunicazione politica e che i promotori hanno innovato sia nel nome, “FaBo” La Fabbrica di Bologna, che nel prodotto.
Da lì usciranno infatti non un programma, ma idee per Bologna, più conoscenza delle condizioni e delle realtà nelle quali un’ amministrazione si trova ad operare. In sostanza, una partecipazione più consapevole alla vita di comunità. Dall’impegno dei promotori arriva un messaggio: questi devono essere i giorni della partecipazione e del civismo che non ha nulla a che fare con l’ipotesi di lista civica.
I promotori lo hanno detto con chiarezza: il prodotto di “FaBo” non sarà una lista elettorale, né l’organizzazione di un consenso a supporto di un candidato. Il civismo di cui ha bisogno Bologna oggi (e l’Italia no?) è davvero sintetizzato nella esortazione kennedyana a mettere nella vita quotidiana e nella relazione con la comunità di cui siamo parte “un po’ meno di ‘io’, un po’ più di noi”.
Ma c’è un secondo e meno scontato aspetto dell’iniziativa. Ciò che rende davvero diversa “FaBo” dalla Fabbrica gialla della prima periferia bolognese, dove Prodi ha ascoltato per giorni e giorni aspirazioni, problemi e suggerimenti della società italiana e della comunità degli immigrati, è che qui il candidato alla carica monocratica non c’è.
Lo ha messo in luce, su un quotidiano cittadino, una studiosa di politologia in una riflessione sul tema, cogliendo questo aspetto come una contraddizione insanabile con le esigenze del sistema politico dopo la riforma per l’elezione diretta del sindaco.
Vero. Oggi si va alle urne per scegliere il sindaco che viene eletto sulla base di un “preciso” (ma il più delle volte generico e propagandistico) programma di governo e al quale, per legge, compete la nomina e revoca dei suoi assessori. Con lui si elegge il consiglio comunale cui la legge affida ben poca voce in capitolo di scelte amministrative e di controllo. Insomma, il sindaco decide e fa un po’ quel che crede.
Peccato che alla sua elezione concorrano normalmente tutte le forze politiche che lo sostengono e, sempre più frequentemente, ampie espressioni della società civile, magari associate allo scopo (nella stagione cofferatiana ne abbiamo conosciute diverse). Ed è con loro, a me pare, che il sindaco fresco di elezione, farebbe bene a mantenere saldo un legame così come a costruirne con chi non lo ha votato.
Troppo spesso è venuto meno, anche rapidamente, il rapporto tra il sindaco e la sua città, elettori compresi e, con esso, la fiducia. E’ così che si amplia la distanza tra politica e società, così che si impoverisce il progetto di governo per la città e si riduce la possibilità di successo anche dell’azione
amministrativa.
Una comunità si realizza nel suo insieme. Tutta la società civile cittadina concorre a rendere forte la propria città. La politica ha limiti precisi e ha tutto l’interesse a costruire sedi e momenti di incontro tra governanti e governati e occasioni di partecipazione non “a perdere”. Se continueremo a disattendere il “patto” tra eletto ed elettori, a svuotarlo di contenuto e significato, condanneremo la politica ad essere oggetto di disinteresse e scetticismo.
Faremo un buon servizio alla politica se permetteremo alla società di crescere insieme a chi governa. Quanto al candidato che uscirà eletto dalle primarie, sono convinta che avrà pieno interesse ad accogliere le idee per Bologna che “FaBo” metterà a disposizione e a confrontarsi con quei cittadini.
Chi ha partecipato all’esordio di “FaBo” si sarà reso conto che l’iniziativa ha anche garbatamente archiviato l’ingombrante eredità del recente passato. Lì c’era solo un gran desiderio di progettare il futuro. “Dinamico, fresco, una sorta di brain storming collettivo, liberatorio, creativo. Ottima iniziativa” mi hanno scritto due partecipanti il giorno dopo.
Clima cambiato. Anche a Roma il segno di un nuovo clima si avvertiva. Bersani ha pronunciato parole chiare, solide, capaci di indicare un orizzonte. E ha chiamato in causa le responsabilità diffuse per le sofferenze in cui versa il Paese. C’è quella del governo guidato da Berlusconi, ma anche quella di chi pensa a lucrare sulle difficoltà dell’Italia nella crisi globale e spera che passi l’idea che non c’è alternativa al “livellamento” verso il basso delle condizioni di vita e di lavoro degli italiani.
Ma sono segnali, quelli che Bersani ha dato. Ci attende un cammino lungo e faticoso. Occorre costruire questo partito con ampi orizzonti. Bisogna tornare a pensare e, possibilmente, a pensare in grande. Non appartiene a questa categoria la stucchevole polemica su “compagni e compagne“, davvero ridicola se si considera che i suoi interventi lo stesso Presidente Prodi li ha quasi sempre aperti rivolgendosi anche così alla platea.
Da “nativa” (quella del PD è la prima tessera di partito che mi sono messa in tasca) esorto i nativi a custodire con rispetto ciò che appartiene alla storia. Il PD è “già ma non ancora”. Sta a noi costruirlo portandolo ad essere più fedele possibile al progetto iniziale.