Intervento di Sandra Zampa all’iniziativa “Crescere a Bologna”
“Abbiamo giocato nei cortili senza automobili,
siamo sempre andati a scuola da soli e, durante le primavere e le
estati, eravamo proprio i padroni delle piazze e delle strade.
Diventati grandi, abbiamo dimenticato di essere stati piccoli.”
Romano Prodi
(Prefazione al libro di Francesco Tonucci “Se i bambini dicono: adesso basta” 2002)
Ecco, forse conviene proprio ripartire da qui, dalla memoria. Riscopriremo così di ricordare una città dove i nostri ragazzi giocavano a pallone in Piazza Santo Stefano, tra i portici e le botteghe di una città ospitale.
Perchè immaginare una città a misura di bambini significa costruire una città più accogliente e migliore per tutti.
All’inizio del mio mandato in Parlmento un importante esponente dell’Ascom di Bologna sostenne che la nostra città era finita in “un cono d’ombra”.
Gli risposi allora quello che ancora oggi penso. Ognuno di noi faccia qualcosa per uscire dal cono d’ombra: una riflessione non egoista, non solo proiettata secondo i propri interessi. Ognuno di noi investa tempo e risorse per far tornare a Bologna i bambini per le strade, per farli andare a scuola da soli, per consentire ad un adolescente di rientrare nel pomeriggio senza essere scortato dai genitori.
Un piano per la città, al quale ognuno di noi deve contribuire, per ridare forza a quella straordinaria risorsa che a Bologna ha realizzato tante cose: si chiama concertazione, la si chiama “tavolo”, si chiama volontà di costruire insieme, di creare sinergie nuove e nuove possibilità.
Un bambino ha diritto ad andare e tornare da scuola con gli amici e senza genitori, lungo un percorso sicuro, con punti di attraversamento non ostruiti dalle macchine in sosta, senza dover evitare sporcizia, siringhe e bottiglie di birra vuote. Se questo costa la fatica di far valere le loro buone ragioni, l’Amministrazione sia coraggiosa e ferma e gli esercenti di bar e osterie consapevoli che tutti i cittadini hanno il diritto di vivere la propria città in sicurezza. Se non sapremo fare questo, se non torneremo seduti attorno ad un tavolo a discutere del futuro della nostra città e delle possibilità di crescere che sapremo offrire ai nostri bambini, se non ripartiremo dai bisogni dei più deboli, avremo smarrito il senso profondo della nostra diversità e della nostra cultura.
Perchè poter “girare” la città da soli non è fatto di poco conto per un bambino: significa offrirgli la possibilità di assaporare il piacere dell’autonomia, lo si aiuta a inserirsi nel suo quartiere, a riconoscere la realtà che lo circonda, lo si responsabilizza e lo si educa a crescere più consapevole dei propri comportamenti e lo si invita a prendersi a cuore la città e i sui cittadini, lo si fa sentire protagonista.
So che Flavio Delbono ha in mente, come lui stesso ha più volte detto, di far tornare la gente in strada a Bologna anche la sera e di restituire a tutti i cittadini le nostre piazze e insieme la possibilità di vivere Bologna senza la paura dei nostri vicoli stretti e un po’ bui. Ma so anche che non riuscirà a farlo se non saremo disposti ad aiutarlo.
Nel quartiere Saragozza una classe delle Scuole Elementari, cinque anni fa, partecipò ad un laboratorio con Francesco Tonucci, psicologo e pedagogista del CNR e ideatore della Città dei Bambini di Fano. Con lui questi 25 bambini riscoprirono il diritto ad andare a scuola a piccoli gruppi e pretesero che i loro genitori accettassero le nuove condizioni. Ma il traffico preoccupava le famiglie e furono gli stessi genitori a chiedere al quartiere una maggiore presenza di vigili in quella zona e la ottennero. Per un anno scolastico non ci furono auto sulle strisce pedonali, i commercianti della zona impararono a riconoscere quei ragazzini, sapevano i loro nomi ed erano in grado di riferire alle madri che sì, erano passati proprio davanti al loro negozio attorno alle 8.20. Un’esperienza che avrebbe dovuto moltiplicarsi nella città e non perdersi.
Dobbiamo ripartire da questo, dal nostro tessuto sociale, lavorare perchè si possa ancora consentire queste piccole ma grandissime cose. Flavio ha in mente un concorso di idee per la riqualificazione di Piazza Verdi: è una buona idea che tende a ricreare un clima di partecipazione diffusa. Ma gli chiedo di interpellare anche i bambini della città, in particolare quelli che vivono in quella zona, quelli ch frequentano le scuole del quartiere, la primaria e la scuola d’infanzia Zamboni, le scuole medie Guido Reni e Irnerio, i ragazzini che fequentano la scuola del Conservatorio e quelli che cantano nel coro del Teatro Comunale. Scopriremo di quali e quante risorse sono capaci i più piccoli e riusciremo meglio a comprenderne i bisogni e le aspettative.
Perchè c’è un punto sul quale mi preme insistere da qualche tempo quando sento dire che la destra sta immobile dinnanzi ad una crisi che ancora nessuno sa valutare con certezza, ma che certo spaventa e ci spinge a tentare di salvaguardare i nostri personali privilegi anziché cercare di ascoltare i bisogni dei cittadini più a rischio. La destra non è immobile ma “cavalca” le emergenze che la crisi ha messo in evidenza: semina diffidenza verso i migranti, alimenta la paura, disegna una società del futuro che si chiude al cambiamento, che conserva e non investe in progettualità nuove. La coalizione di centro sinistra che tutti noi ci auguriamo possa governare questa città per i prossimi 5 anni avvi invece un processo contrario: dialogo per vincere la paura e partecipazione alla vita della città. Sia coraggiosa nell’analisi dei problemi e li affronti senza ideologismi, ma con la forza degli ideali che hanno fatto di Bologna una grande città. Stia attenta allo sguardo dei bambini, al loro giudizio: perchè se ad un bambino racconti che devi per ragioni di sicurezza spostare dei rom da un campo sulle rive del Reno poi devi anche dirgli che per loro è stata trovata una soluzione alternativa e migliore. Esattamente ciò che a Bologna è avvenuto, ma in modo silenzioso per il timore che i cittadini,anche il nostro elettorato, si sentissero privati di risorse spese in favore di “altri”. E invece no: quelle famiglie erano e sono parte integrante del tessuto produttivo della città, avevano tutti un regolare contratto di lavoro, i loro figli sono i compagni di scuola dei nostri figli. La loro nuova sistemazione garantisce loro una vita migliore e ne favorisce un migliore inserimento nella nostra società. E’ un bene per tutti e tutti siamo chiamati ad abbandonare ciniche ed egoistiche strade che ci portano, quelle sì davvero, in un triste futuro di ombre.
Emergenze ce ne sono tante quando penso all’infanzia. Ma una mi preoccupa più di altre quando penso ai nostri giovani. La diseducazione al civismo, il non saper più riconoscere diritti e doveri di ciascuno, l’atteggiamento di sconfitta che a volte percepisco guardandoli, la mancata partecipazione, l’assentieismo dalla politica.
Penso che Bologna possa fare meglio di così. La vocazione della nostra città è quella dell’economia sociale, come opportunamente Flavio ha saputo ricordare, per il nostro sistema di welfare, di servizi, per le tante e preziose esperienze del volontariato e della cooperazione, per la nostra scuola pubblica. Siamo eredi di un patrimonio di valori enorme e dobbiamo consegnarlo alle giovani generazioni con la certezza che ne abbiano davvero compreso il valore. Qui si tratta di educare i nostri bambini e i nostri ragazzi alla solidarietà e all’accoglienza: se vivranno in una città “cattiva” con i loro coetanei migranti, domani non saranno capaci di comprendere la storia della loro città che dai tempi della più antica Università ha accolto studenti, e docenti che provenivano da tutto il mondo di allora. Se cresceremo i nostri alunni in una scuola che ghettizza i diversi e che non ha tempo e risorse per chi rimane indietro, domani avremo cittadini egoisti. Se avremo paura di riaffermare i principi della legalità, se cresceremo i nostri bambini nella illegalità, domani avremo cittadini disonesti. Se non sapremo ridisegnare una città che sappia soddisfare i diritti dei bambini, se noi tutti non torneremo ad occuparci della nostra città e dei suoi abitanti, bolognesi e stranieri, uomini e donne che vivono accanto a noi, se non sapremo difendere i nostri valori senza paure e ingiustizie, se non ritroveremo in noi stessi la volontà di educare e di essere parte di una città famosa nel mondo per il suo contributo in termini di civiltà e cultura, se non sapremo attrarre e impiegare qui le intelligenze che frequentano la nostra Università, se non continueremo ad occuparci dei più deboli non solo non riavremo la nostra accogliente città, ma corrisponderemo a valori che non ci appartengono, che segnano un confine netto e tangibile tra noi e chi ci vuole costringere a vivere nella paura. E se noi avremo paura i nostri figli non avranno il coraggio di affrontare il futuro.