Cosa divide davvero Romano Prodi e Matteo Renzi. Parla Zampa (Pd)
Intervista di Andrea Picardi a Sandra Zampa su Formiche del 05 luglio 2017
Passano le settimane e i mesi ma nel centrosinistra le cose sembrano non cambiare mai. Un clima di scontro permanente caratterizzato dall’emergere di nuove e vecchie frizioni, sia all’interno che all’esterno del Partito democratico. Che, dal canto suo, in questo periodo ha subito la scissione guidata da Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani, rieletto Matteo Renzi alla segreteria e incassato la sconfitta elettorale delle ultime amministrative (dopo la batosta referendaria del 4 dicembre scorso). Un quadro sempre più difficile da decifrare nel quale le differenze programmatiche e i rancori personali si sommano e si confondono tra loro, in un turbinio di voci e di polemiche alle quali non è sfuggito neppure l’ex presidente del Consiglio – fondatore dell’Ulivo e padre nobile del Pd – Romano Prodi. Tutte questioni che Formiche.net ha approfondito in questa conversazione con Sandra Zampa, deputata dem e prodiana di ferro, già capo ufficio stampa di Palazzo Chigi ai tempi del secondo governo del professore bolognese nel 2006.
C’è ancora spazio per un centrosinistra unito stile Ulivo?
Temo davvero che il centrosinistra sia destinato alla divisione. Visto come stanno andando le cose, ci sono fondati indizi per ritenere che la frattura sia difficilmente sanabile. Questo pericolo, però, ci impone di aumentare ancora di più gli sforzi affinché ciò non accada.
Che cosa ha in mente Renzi a suo avviso?
Ciò a cui ha sempre lavorato da quando è diventato segretario del Pd: la costruzione di una forza politica centrista. La cui conseguenza, però, è il tradimento della sua vocazione e della sua natura e la nascita di un partito sbiadito e privo d’identità.
La teoria delle mani libere e della possibile alleanza con Berlusconi quanto vi mette a disagio?
Non è indifferente avere alleati di destra, di centro o di centrosinistra. E’ fondamentale scegliere con chi si costruisce la risposta alla prolungata fase di difficoltà che il nostro Paese sta vivendo. E poi ho molti dubbi che l’elettorato centrista – cui Renzi sta cercando di rivolgersi – alla fine non preferisca continuare a scegliere l’originale come mi pare abbia sempre fatto finora. Si è visto pure ai ballottaggi: gli elettori di centro-centrodestra non hanno votato il Pd.
Quanto hanno inciso sulle attuali divisioni i rancori personali da cui il centrosinistra appare divorato?
Contano moltissimo ma non li ha generati solo Renzi. Su questo punto occorre essere molto chiari. Personalmente, sono d’accordo con Beppe Sala (che ieri ha rilasciato questa intervista al Corriere della Sera, ndr): il segretario Pd è indisponente ma, a parte questo, non è dipeso solo da lui. Certo, ha cercato rotture del tutto superflue: penso, ad esempio, alle relazioni con i sindacati e, più in generale, con tutti i corpi intermedi. Un approccio di cui non si è ancora liberato, a mio avviso anche per l’incapacità di analizzare il senso più profondo della sconfitta del 4 dicembre. La cui lezione non è stata appresa.
Anche con Prodi i rapporti sono ai minimi termini. Perché?
Delle frizioni con Prodi mi dispiaccio molto, innanzitutto perché credo che all’interno del Pd si debba mostrare un po’ di rispetto verso chi l’ha fondato. E poi, ovviamente, me ne dispiaccio anche per ragioni del tutto personali. Sono, però, consapevole che entrambi – Renzi e il professore – hanno un carattere molto forte.
Le differenze tra loro sono così abissali?
Incarnano due culture politiche completamente diverse. Se dovessi indicare una catena dalla quale discende Renzi, direi Tony Blair e Francesco Rutelli. Il professore, certo, non viene da quel mondo lì.
E da quale?
Da quello di John Maynard Keynes e Beniamino Andreatta, solo per fare due nomi. Tutta un’altra storia, arricchita poi dall’esperienza maturata come presidente della Commissione europea. E in più aggiunga pure che lui stesso – nel suo ultimo libro, il Piano Inclinato ha mostrato di aver continuato a riflettere e di aver compiuto un percorso che l’ha portato su posizioni anche più radicali.
Prodi radicale?!
Quando parla di disuguaglianze certamente sì. Ha perfettamente compreso che si tratta di una mina piazzata sotto la democrazia, in grado di metterla in discussione per come l’abbiamo conosciuta finora. Un approdo sicuramente nuovo per lui e la conferma che ha continuato a interrogarsi e a maturare risposte.
Mentre Renzi non è altrettanto determinato su questo versante?
Può esserlo, secondo lei, uno che dice sì alla Flat tax? O che abolisce l’Imu in un Paese dalle immense disuguaglianze come l’Italia? Aver eliminato l’imu è stato uno degli errori più gravi commessi dal governo Renzi, che ha fatto anche cose buone. Lo pensavo allora e lo penso anche adesso. Se avessimo aggredito il tema della disoccupazione giovanile con quei soldi là – invece di togliere l’imu a chi non ne ha bisogno – avremmo fatto meglio e, probabilmente, ci sarebbe stato anche un altro risultato in termini di consenso.
Che ne pensa delle continue ironie degli iper-renziani sulle esperienze di governo di Prodi?
Mi indispettisce che si confondano ad arte due stagioni tra loro diversissime come Ulivo e Unione in modo da trasmettere l’idea di un tutt’uno uniforme, che non esiste. E mi fa imbufalire ancora di più che si faccia finta di dimenticare le ragioni per cui nacque l’Unione: fu a causa della nuova legge elettorale – il Porcellum – che in realtà impediva le coalizioni. Arrivò come una bomba su quella faticosa costruzione di unità, tanto è vero che il simbolo dell’Unione non è mai stato stampato su una scheda elettorale. Mi fa arrabbiare che chi partecipò a quel governo – come Matteo Orfini, che al pari mio ricopriva un ruolo di staff – confonda l’operato dell’esecutivo con il caos del sistema politico-partitico che c’era intorno. Ma mi lasci dire un’altra cosa.
Cioè?
Che quel governo in soli due anni ottenne risultati che gli altri si sono sognati. Poi, però, arrivò un certo Silvio Berlusconi a distruggere tutto: ad esempio, aumentò il debito pubblico, eliminò l’imu, azzerò i fondi per i servizi sociali e l’infanzia. E, così, contribuì a far aumentare a dismisura la povertà.
Il problema è sempre la possibile alleanza post-elettorale con Forza Italia?
Ci sono giorni in cui sono più speranzosa che possa tornare ad esserci un’autentica prospettiva di centrosinistra e altri meno. Vederemo cosa ci dirà il segretario nel corso della direzione nazionale di domani, ma le possibilità – come le dicevo – sono scarse.
Ma dipende tutto da Renzi?
Anche Giuliano Pisapia deve fare qualche passo avanti verso l’unità. A questo punto non si può far altro che partire dalle cose da realizzare insieme per il bene dell’Italia. Solo misurandoci sui problemi del Paese si potrà, forse, trovare un accordo. Ma senza mettere veti.
Né da una parte né dall’altra?
Certamente, ci mancherebbe altro. D’Alema, ad esempio, ha messo un veto e mi pare che si sia auto-escluso da solo.
Ma come valuta la spinta che Prodi sembra ancora in grado di generare nell’elettorato di centrosinistra?
Penso gli faccia piacere riuscire a scaldare ancora i cuori degli elettori di centrosinistra, ma non era quello il suo obiettivo. Si è semplicemente messo a disposizione perché da più parti gli è stato chiesto.
Siamo sicuri che il professore abbia davvero chiuso con la politica attiva? O potrebbe tornare in pista in qualche modo?
Non accadrà. Il professore lo esclude e so con certezza che non scherza.
E delle voci di una possibile nuova scissione – anche per lo scontro che sarebbe in corso sulla composizione delle liste – che ne pensa?
Non ci credo: non mi risultano che siano in corso operazioni di questo tipo. E, comunque, Prodi non potrebbe mai aderirvi: il professore non sarà mai un uomo che produce divisioni nel centrosinistra.