La Camera,
premesso che:
il 2 giugno 2016 ricorrerà il settantesimo anniversario della Repubblica Italiana e, contestualmente, il settantesimo anniversario del voto alle donne in Italia;
fino al 1946 le italiane non potevano partecipare né attivamente, né passivamente alle elezioni politiche;
al termine del primo conflitto mondiale nel 1918 il suffragio fu esteso a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto il ventunesimo anno di età e a coloro che avessero prestato servizio nell’esercito mobilitato;
le donne italiane dovettero aspettare ancora e più precisamente il 31 gennaio 1945 quando, con il Paese ancora diviso, il Consiglio dei Ministri emanò un decreto legislativo luogotenenziale, pubblicato il 1° febbraio, che sancì il suffragio universale e che riconosceva il diritto di voto alle donne, con grave ritardo rispetto ad altri paesi: in Nuova Zelanda le donne votavano sin dal 1893, in Finlandia dal 1907, in Norvegia dal 1913, nel Regno Unito dal 1917; prima dell’Italia avevano riconosciuto questo diritto, fra gli altri paesi, anche Turchia, Mongolia, Filippine, Pakistan, Cuba e Thailandia;
nel decreto non era tuttavia prevista l’eleggibilità delle donne, che sarà sancita solo dal decreto n. 74 del 10 marzo 1946: “Norme per l’elezione dei deputati all’Assemblea costituente”;
in attesa del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, nell’aprile 1945, si era costituita la Consulta, che ebbe come principale compito quello di elaborare una Legge elettorale per l’Assemblea costituente. La Consulta fu il primo organismo politico nazionale in cui entrarono 13 donne, invitate direttamente dai partiti;
la prima volta che le donne poterono esercitare il loro diritto elettorale, attivo e passivo fu in occasione delle elezioni amministrative: dal 10 marzo al mese di aprile del 1946 le donne votarono in 5 turni: la partecipazione alle urne fu altissima, ne furono elette duemila nei consigli comunali;
il 2 giugno del 1946 finalmente tutte le donne italiane poterono recarsi alle urne ed essere elette in elezioni politiche: ventuno furono le elette nella Costituente duemila nei consigli comunali; sui banchi dell’Assemblea costituente sedettero le ventuno “prime parlamentari”, a ragione denominate “Madri Costituenti”: nove della DC, nove del PCI, due del PSIUP ed una del partito dell’Uomo qualunque. Cinque di loro entreranno nella “commissione dei 75″, incaricata di scrivere la Carta costituzionale: Maria Federici, Angela Gotelli, Tina Merlin, Teresa Noce e Nilde Jotti; solo più di trent’anni dopo, proprio Nilde Jotti fu la prima donna a ricoprire la carica di Presidente della Camera dei deputati, una delle cinque più alte cariche dello Stato mai ricoperte da una donna prima, occupando lo scranno più alto di Montecitorio per tre legislature, dal 1979 al 1992;
è importante ricordare qui che la prima donna della Consulta a parlare in un’assemblea democratica fu Angela Guidi Cingolani, che condivideva con altre elette trascorsi di prigione e di confino. Tutte le Madri lottarono e furono attente alle speranze delle italiane, per non deludere le migliaia di donne partigiane, staffette, donne antifasciste che in mille modi avevano contribuito alla Liberazione: così ricorda la storica giornata del 2 giugno Tina Anselmi “E le italiane, fin dalle prime elezioni, parteciparono in numero maggiore degli uomini, spazzando via le tante paure di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perché non eravamo sufficientemente emancipate. Non eravamo pronte. Il tempo delle donne è stato sempre un enigma per gli uomini. E tuttora vedo con dispiacere che per noi gli esami non sono ancora finiti. Come se essere maschio fosse un lasciapassare per la consapevolezza democratica!”;
la scrittrice e saggista Maria Bellonci (ideatrice del premio Strega), così descrive quel giorno: “Anche per me, come per tutti gli scrittori, e come per tutti quelli che sono avvezzi a mettere continuamente se stessi al paragone delle cose, gli avvenimenti più importanti di quest’anno 1946 sono fatti interiori; ma è un fatto interiore – e come – quello del 2 giugno quando di sera, in una cabina di legno povero e con in mano un lapis e due schede, mi trovai all’improvviso di fronte a me, cittadino. Confesso che mi mancò il cuore e mi venne l’impulso di fuggire. Non che non avessi un’idea sicura, anzi; ma mi parvero da rivedere tutte le ragioni che mi avevano portato a quest’idea, alla quale mi pareva quasi di non aver diritto perché non abbastanza ragionata, coscienziosa, pura. Mi parve di essere solo in quel momento immessa in una corrente limpida di verità; e il gesto che stavo per fare, e che avrebbe avuto una conseguenza diretta mi sgomentava. Fu un momento di smarrimento: lo risolsi accettandolo, riconoscendolo; e la mia idea ritornò mia, come rassicurandomi.”, e ancora, la giornalista Anna Garofalo “Le schede che ci arrivano a casa e ci invitano a compiere il nostro dovere hanno un’autorità silenziosa e perentoria. Le rigiriamo tra le mani e ci sembranoPiù preziose della tessera del pane Stringiamo le schede come biglietti d’amore. Si vedono molti sgabelli pieghevoli infilati al braccio di donne timorose di stancarsi nelle lunghe file davanti ai seggi. E molte tasche gonfie per il pacchetto della colazione. Le conversazioni che nascono tra uomo e donna hanno un tono diverso, alla pari”;
il primo successo delle Madri della Consulta fu quello di ottenere che il premio della Repubblica, di tremila lire, fosse esteso anche alle vedove di guerra e alle mogli dei prigionieri: tra le Madri Costituenti, che è bene ricordare, nove erano comuniste, tra cui cinque dell’UDI (Adele Bej, Nadia Gallico Spano, Nilde Jotti, Teresa Mattei, Angiola Minella, Rita Montagnana, Teresa Noce, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi), nove democratiche cristiane (Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici, Angela Gotelli, Angela Guidi Cingolani, Maria Nicotra, Vittoria Titomanlio), Due socialiste ( Angelina Merlin e Bianca Bianchi) e una della lista “Uomo Qualunque” (Ottavia Penna Buscemi); tutte le Madri, con il loro impegno e le loro capacità, segnarono l’ingresso delle donne nel più alto livello delle istituzioni rappresentative, quattordici di loro erano laureate e molte insegnanti, qualche giornalista-pubblicista, una sindacalista e una casalinga; quattordici sposate e con figli. Molte avevano preso parte alla Resistenza, pagando spesso personalmente e a caro prezzo le loro scelte, come Adele Bei (condannata nel 1934 dal Tribunale speciale a diciotto anni di carcere per attività antifascista), Teresa Noce (detta Estella, che dopo aver scontato un anno e mezzo di carcere, perché antifascista, fu deportata in un campo di concentramento nazista in Germania dove rimase fino alla fine della guerra) e Rita Montagnana (che aveva passato la maggior parte della sua vita in esilio);
i settanta anni di storia intercorsi da quella data sono stati densi di trasformazioni: non a caso in riferimento ai profondi cambiamenti culturali e di stile di vita che hanno attraversato la società e la famiglia nella seconda metà del secolo scorso si è parlato di rivoluzione femminile., una rivoluzione che ha interessato tutto il mondo occidentale;
da allora iniziava un percorso di autonomia delle donne che negli anni ha prodotto anche significative modifiche della legislazione: tale cammino di emancipazione ha potuto compiersi nel solco dei principi della Costituzione italiana, basti pensare all’importanza dell’art.3, che stabilisce l’uguaglianza morale e giuridica tra uomo e donna, all’art. 37, con il quale viene sancita la parità nel lavoro e l’accesso agli uffici pubblici e alla cariche elettive (art. 51), anche se, per poter entrare nella magistratura e nella carriera diplomatica, le donne dovranno attendere il 1963;
nel 1950, fu approvata la legge sulla “tutela fisica ed economica della lavoratrici madri”, e l’anno successivo venne nominata la prima donna al governo, Angela Cingolani, divenuta sottosegretaria all’Industria e al Commercio, mentre la prima donna ministro fu Tina Anselmi nel 1976;
furono anni in cui vennero approvate leggi fondamentali e innovative in vari ambiti, tra i quali il diritto di famiglia e quello della dignità femminile, come l’abolizione della case di prostituzione nel 1956, firmata da Lina Merlin, primo esempio di mobilitazione parlamentare trasversale;
con un accordo interconfederale nel 1960 furono eliminate le tabelle remunerative differenti per uomini e donne, sancendo la parità formale e sostanziale delle donne e degli uomini nel mondo del lavoro; è del 1970 la legge sul divorzio, confermata dal referendum del 1974;
nel 1975 viene riformato il diritto di famiglia, garantendo parità tra i coniugi e la comunione dei beni, nel 1977 viene approvata la legge di parità, integrata poi nel 1991 dalla legge 125 sulle pari opportunità;
e, nel frattempo, vengono abrogati il delitto d’onore e le norme penali sull’adulterio femminile, nel 1978 viene approvata la legge 194 sull’interruzione di gravidanza che resisterà al referendum abrogativo del 1981;
dagli anni Novanta, con alterne fortune, si è discusso della necessità di prevedere quote obbligate di candidature maschili e femminili: la legge costituzionale n.1 del 2003 ha stabilito che le leggi regionali promuovono la parità di accesso tra uomini e donne alle cariche elettive e l’art. 51 della Costituzione è stato riformato introducendo le pari opportunità in modo da dare copertura costituzionale ai provvedimenti che vogliono attuare tale principio in una legge elettorale;
l’articolo 117, settimo comma, della Costituzione, come modificato in seguito alla Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione” stabilisce che: “Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive” e insieme al combinato disposto degli articoli 3 e 51 definisce criteri per favorire la piena inclusione delle donne nella vita politica, sociale ed economica del Paese. A questo si aggiungano le più recenti pronunce della Corte costituzionale, e, tra queste, le sentenze n. 49 del 2003 e n. 4 del 2010, che hanno chiarito come le norme rivolte alle regioni “stabiliscano come doverosa l’azione promozionale per la parità di accesso alle consultazioni”. Finora, il principio delle pari opportunità tra uomo e donna nelle competizioni elettorali è stato considerato in numerosi statuti regionali;
la Legge n. 120 del 12 luglio 2011 ha introdotto misure per il riequilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società pubbliche e private e da allora il tema è recentemente diventato attuale anche all’interno delle istituzioni, in modo particolare nelle assemblee elettive;
la Legge 23 novembre 2012, n. 215, ha introdotto, nelle elezioni dei consigli comunali dei comuni con più di cinquemila abitanti, sia la doppia preferenza di genere sia una “quota di lista”, per la quale nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi: questo particolare strumento permette di porre l’accento sull’elemento principale, il riconoscimento del merito, spesso ostacolato da stereotipi di genere;
la Legge n. 65/14 del 22 aprile 2014 ha modificato l’articolo 14, primo comma, della Legge 24 gennaio 1979, n. 18, in relazione alla promozione dell’equilibrio di genere nella rappresentanza politica alle elezioni per il Parlamento europeo introducendo la cosiddetta “tripla preferenza di genere”: nel caso in cui l’elettore decida di esprimere più di una preferenza, la scelta deve comprendere candidati di entrambi i generi, pena l’annullamento della seconda e terza preferenza;
Il Global gender gap index, registra l’indice sul divario di genere stilato annualmente dal World Economic Forum di Ginevra, e nel 2015 ha rilevato un passo in avanti da parte dell’Italia in relazione alle donne elette alla Camera e al Senato. Nel 2013 sono passate al 31 per cento (dal 22 per cento della precedente legislatura) e l’Italia ha guadagnato 9 posizioni nella classifica, eppure le pari opportunità nel nostro Paese rimangono un miraggio: siamo ancora al 71esimo posto su 136 Paesi, al primo c’è per il quinto anno l’Islanda, seguita da Finlandia, Norvegia, Svezia e Filippine: in altri termini, nel nostro Paese fa ancora molta meno differenza essere uomo o donna, in termini di possibilità economiche e di carriera politica o dirigenziale;
in generale l’Italia si colloca più in basso dei Paesi Scandinavi per tutti i quattro sotto-indici che compongono il Global Gender Gap Report: su 136 Paesi, è al 65 posto per quanto riguarda la scolarizzazione, 72esima per la salute, 44esima per l’accesso al potere politico e al 97esimo per la partecipazione alla vita economica. Il problema viene soprattutto dal mondo del lavoro: il posizionamento generale dell’Italia può essere spiegato principalmente con il basso risultato nella classifica della partecipazione e opportunità economiche. Solo il 51 per cento delle donne lavora, contro al 74 per cento degli uomini. Ma l’elemento chiave è la disparità salariale: una italiana in media guadagna 0,47 centesimi per ogni euro guadagnato da un uomo;
la posizione dell’Italia nella classifica che misura l’eguaglianza salariale percepita è molto bassa: 124esima su 136 paesi, al di sotto della media mondiale, la percezione misurata dall’indice, per altro, è quella dei dirigenti d’azienda;
il fattore determinante più importante per la competitività di un Paese è il talento umano: le donne costituiscono la metà del talento potenziale: se i Governi ricoprono un ruolo importante nel sostenere le politiche giuste (congedo di paternità, asili, etc.), sta anche alle aziende creare posti di lavoro, con processi di reclutamento innovativi, nuovi percorsi per le carriere, politiche salariali trasparenti, che permettano ai migliori talenti di svilupparsi;
aumentare la presenza delle donne nei luoghi di lavoro è importante, ma non basta se non porta anche a nuove politiche di conciliazione e a un modo nuovo di lavorare da cui possano trarre beneficio tutti, anche gli uomini;
i numeri di per sé non garantiscono la parità e ciò si evince anche dall’analisi nel dettaglio della situazione politica: in Parlamento siedono più senatrici e deputate (l’Italia si colloca al 28esimo posto della classifica), ma non sono aumentate significativamente le donne in “posizione ministeriali” (qui il nostro Paese si colloca solo 60 esimo, e migliora soltanto di una posizione rispetto al 2013), nei luoghi cioè in cui si decidono le priorità del Paese;
la data del 2 giugno 2016 costituisce, dunque, non solo un anniversario per il Paese e per il diritto al voto acquisito dalle donne, in termini di elettorato attivo e passivo, ma anche l’occasione per dare forte e rinvigorito impulso alla parità di genere sostanziale e non solo normativa tra uomini e donne, attraverso la messa in campo di azioni realmente volte a eliminare qualunque diseguaglianza a qualunque livello: sociale, lavorativo, politico, culturale;
la forza della partecipazione politica delle donne alla nuova democrazia e alla elaborazione della Costituzione Italiana non nasceva dal nulla: interpretava le lunghe lotte dei decenni precedenti culminate nella partecipazione attiva alla Lotta di Liberazione, vero spartiacque del cambiamento della storia Italiana, europea, mondiale;
attraverso questi eventi di portata storica le donne portarono nella cultura politica, sociale e civile del paese un contributo inedito, destinato a rimanere per sempre. Una cultura permanente ma in divenire: i limiti rilevati sulla partecipazione al percorso decisionale e istituzionale dimostrano che si tratta di una conquista lungi dall’essere conclusa;
la storia delle donne nel novecento è stata portata all’attenzione del mondo dalle conferenze mondiali dell’ONU che hanno indicato le donne come il primo soggetto per i cambiamenti del mondo nel segno dello sviluppo, dell’uguaglianza, della pace;
la Repubblica Italiana è responsabile della continuità ideale politica e programmatica del ruolo svolto dalle donne nella vita dell’Italia e dei passaggi cruciali che hanno determinato, e determineranno
questi cambiamenti.
a prevedere, nel corso del 2016, iniziative di ampio respiro, di carattere nazionale, locale, per ricordare le figure delle ventuno Madri Costituenti, anche attraverso la realizzazione di programmi televisivi e radiofonici;
a promuovere in tutte le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado momenti dedicati alla commemorazione delle ventuno donne costituenti, ricordandone l’impegno e il ruolo svolto nella stesura della Carta Costituzionale italiana, a istituire, in ogni scuola di ordine e grado, programmi educativi destinati al riconoscimento e alla valorizzazione delle donne nella Storia, nella Filosofia, nella Scienza e nelle altre discipline umanistiche e scientifiche;
a promuovere e rafforzare la tutela dei diritti delle donne e il loro empowerment in tutti i settori, affrontando le cause strutturali della discriminazione basata sul genere e a promuovere le condizioni che favoriscono la trasformazione nelle relazioni di genere per renderle egualitarie e a garantire alle donne l’effettiva partecipazione e la possibilità di assumere la leadership a tutti i livelli decisionali, politici, economici e sociali, compresa la gestione della riduzione del rischio di catastrofi, la prevenzione e la mediazione dei conflitti e la costruzione dei processi di pace, e a favorire il contributo specifico e unico delle donne nei tavoli di mediazione internazionale che affrontano le gravi crisi politiche e umanitarie nelle aree di crisi del globo.
Firme:
Zampa S.,
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