Dobbiamo mettere in salvo il progetto di un partito riformista al servizio dell’Italia e di un’Europa politica forte e coesa

Care amiche e cari amici,

vi propongo qui il mio intervento di apertura all’incontro “Ascoltare il Paese, servire la democrazia” che si è svolto il 31 maggio al Teatro Baraccano di Bologna.

SZ

“ASCOLTARE IL PAESE, SERVIRE LA DEMOCRAZIA”

Intervento di apertura di Sandra Zampa

Ringrazio tutti i presenti e tutti coloro che nelle drammatiche ore vissute e in questo difficilissimo momento della vita del Paese e del PD ci hanno manifestato convintamente l’invito a non mollare, ci hanno detto di condividere le nostre preoccupazioni e la nostra tensione a trovare una via lineare e coerente per mettere in sicurezza le ragioni e gli ideali, i nostri “penati” insomma, la dote che accompagnato la nascita del Partito Democratico.

Ringrazio gli amici, quelli arrivati da più lontano in particolare, che hanno accolto l’invito a ritrovarsi oggi. Noi che siamo qui abbiamo storie e provenienze diverse. Con tutti, ne sono certa, condividiamo tuttavia l’idea che l’impegno politico è finalizzato al bene del Paese, e non a far grande “la ditta” anche se sappiamo che proprio per fare bene al Paese occorre consenso e che per raccogliere consenso occorre una “ditta” di gran livello, credibile e affidabile per gli elettori. Con molti di loro ho condiviso per lungo tempo – con alcuni di questi si tratta dell’intero periodo del mio impegno politico in prima persona – e molto intensamente un progetto e una passione. Quella di raccogliere il frutto dell’Ulivo, di vedere un partito nuovo nascere, moderno e innovativo nelle proposte, (riformista in una parola) vicino agli elettori, dunque trasparente, in dialogo e relazione con la società, al servizio della democrazia e della sua crescita. Non solo di quella economica che da sola non avviene mai ma anche etica e culturale. Un partito che ha un “DNA” preciso: quello di essere alternativo al centrodestra.

Sono trascorsi 18 anni dalla messa a dimora dell’Ulivo. Ne sono passati 10 dalla proposta di Romano Prodi di presentare una unica lista in vista delle elezioni europee del 2004. Raccolto oltre il 30% dei consensi al momento di scegliere il gruppo parlamentare cui iscriversi, gli eletti si divisero in due: pse e alleanza dei liberal democratici. Ne sono passati sei da quell’ottobre 2007 che vide insediarsi la prima Assemblea Costituente Nazionale del PD con 2858 componenti, presieduta da Romano Prodi, il primo presidente del PD. Primo segretario, eletto un anno dopo Walter Veltroni. Subito arrivò un vice, Franceschini. Una diarchia che riproponeva la storia passata, che guardava indietro invece che avanti. Un partito di ex che troppo spesso dà l’idea di essere saltato a bordo di una scialuppa di salvataggio solo per mettersi al riparo dalle tempeste della prima Repubblica. Ma che della Prima Repubblica ha conservato la cultura politica e il linguaggio.

Dall’anno della sua nascita il PD ha perso per strada 3.5 milioni di voti. Oggi si trova al governo presieduto da un suo esponente ma con il pdl: un governo di larghe intese con la forza politica rispetto alla quale ci siamo proposti al Paese e ai nostri elettori come “alternativi”. Si badi bene: nessuno di noi sarà sleale e tutti condividiamo un auspicio: che faccia le poche buone cose di cui il Paese ha bisogno. Ciò richiede lealtà e senso del bene comune. Di tutti però, non solo nostro: non possiamo pensare che vada bene subire ogni giorno un ricatto. E’ la destra che deve mostrare la propria lealtà a Enrico Letta. Non chiedere ogni giorno che venga realizzato un pezzo del programma che il PDL aveva proposto in campagna elettorale.

Credo che quanto detto mostri con evidenza che il PD si trova dove non dovrebbe essere. Credo che se vogliamo capire qualcosa non si possa che partire da una domanda: perché ci troviamo qui? Come è accaduto? E come pensiamo di mettere in salvo il nostro progetto visto che le ragioni per cui prese forma sono ancora tutte vere? Non è un caso che il governo Letta sia stato il nostro approdo. La partita del Quirinale è stata giocata in quei termini per arrivarci. E questo pone un problema gigantesco su cui occorre fare chiarezza se si vuole avere un futuro. Questo mette in discussione le fondamenta del PD tanto da farci dire oggi che non è mai nato per come avrebbe dovuto e potuto essere. Per come lo abbiamo promesso ai suoi elettori, militanti ed iscritti.

Noi pensiamo che dobbiamo guardare avanti, a dopo, e per questo dobbiamo mettere in salvo il progetto di un partito riformista al servizio dell’Italia e di un’Europa politica forte e coesa. Per questo serve una forza politica che sa convincere prima di tutto i cittadini, gli elettori, e i suoi militanti. Non possiamo accontentarci di vincere grazie alla scarsa affluenza: se un italiano su tre rinuncia al voto per noi deve essere un problema. E’ tempo di verità e di coerenza. Più della metà degli italiani ha perso la fiducia nel sistema politico. Continuiamo a dircelo ma non ad agire come gente che ha compreso che cosa significa.

Vogliamo tutti un sistema che funzioni. Un governo che agisca e produca i cambiamenti necessari al Paese ma nessun overno può vivere senza il consenso e se il consenso deriva dalla capacità di fare le riforme occorre ricordare che le riforme camminano sulle gambe delle persone, che occorre la partecipazione più vasta possibile della società per il loro successo non fosse altro che per superare le resistenze corporative che hanno bloccato questo paese.

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