Intervista di Stefano Feltri ad Arturo Pasrisi su Il Fatto Quotidiano del 21 aprile 2013
Professor Arturo Parisi, lei che è uno dei suoi storici amici e collaboratori, ci spiega chi ha tradito Romano Prodi?
Se Prodi è stato colpito, quello tradito è stato Bersani, la sua segreteria, il suo partito. Sulla candidatura di Prodi, Bersani si è giocato la sua residua credibilità di leader. Dopo la sconfitta su Franco Marini, la disponibilità di Prodi era stata colta dal segretario come un’occasione. L’ultima per ricostruire l’unità del PD e riaffermare la sua guida.
101 franchi tiratori contro Prodi sono tanti, li avete individuati tutti?
Non era compito nostro. Ma ad una mia precisa richiesta, la segreteria mi aveva assicurato che non si erano accontentati della standing ovation, dell’applauso liberatorio della mattina. “Ci siamo ripassati i banchi uno per uno. Lavoriamo sodo” , mi hanno risposto. E lo stesso mi hanno assicurato le filiere popolari, che comprensibilmemnte potevano essere provate dalla sconfitta su Marini.
E’ stata una vendetta dei popolari per la bocciatura di Marini?
Se fosse stata una vendetta, sarebbe stata grande. Di quelle che si consumano nella mia Sardegna. E annuncerebbe un futuro terribile: vendetta chiama vendetta. Fortunatamente siamo in Continente e il PD è troppo piccolo per aspirare alla tragica e terribile grandezza della vendetta barbaricina. Proprio dai popolari erano venute nella mattina le assicurazioni più calorose. E nella notte erano stati loro, da Dario Franceschini a Giuseppe Fioroni, a spendersi con più convinzione per il lancio della candidatura a Prodi. Lo stesso Marini, che avrebbe avuto tutti i motivi per sentirsi utilizzato e tradito, aveva anticipato il suo sostegno.
Con quali motivazioni?
Pur in uno schema che aveva cercato prioritariamente la candidatura di Marini, i popolari si dicevano infatti consapevoli che, per quanto estranea alla loro storia recente, proprio l’iniziativa di Prodi nel quadro bipolare aveva consentito agli ex centristi, non solo di sopravvivere, ma di prosperare.
Perchè Massimo D’Alema avrebbe impallinato Prodi?
D’Alema era stato il più freddo. Non mi chieda il come e il perchè. E’ troppo tempo che non frequento le riunioni di vertice. Lungo è anche il silenzio che nel tempo si è accumulato tra noi. Forse due incontri in tutto in cinque lunghi anni.
Che senso ha avuto per il PD opporsi all’unico leader vincente del centro sinistra?
Non la metta così. Io penso che il Prodi chiamato in campo, più che il padre dell’Ulivo, vincitore di due elzioni, fosse il Prodi europeo. Capace di parlare al telefono con gli altri leader europei e mondiali. Speravo perciò che la segreteria lo avesse proposto come “uno che può dare una mano all’Italia in un momento come questo”. Ma invece di chiedersi cosa poteva guadagnare l’Italia, troppi si sono chiesti “cosa ci guadagno o ci perdo io”.
C’è chi attribuisce colpe ai giovani parlamentari appena eletti che hanno colto l’occasione per distruggere la vecchia guardia.
Penso che a prevalere siano state invece le ruggini passate. Che tanto passate non sono. E soprattutto che, nonostante venga meglio raccontrarle come questioni personali, sono vere alternative politiche.
Matteo Renzi si proclama innocente, ma la caduta di Prodi ha “ammazzato il cavallo ferito”, eliminando Bersani. Quindi, tutto sommato, lui ci guadagna. Lei lo assolve?
E’ vero che Prodi ricorda il cui prodest. Ma su questa strada ho cominciato a sospettare anche di mia moglie e mio figlio.
Perchè non è andata a buon fine la trattativa con Scelta Civica? Quali contropartite chiedeva Mario Monti?
Come poteva finire una cosa neppure iniziata? La quarta votazione è stata vittima della quinta. Tutti volevano contarsi per trattare poi su posizioni di forza. E invece si sono scoperti più deboli. Anche nell’elezione per il Quirinale in troppi hanno guardato all’uovo di domani e non al pollaio di oggi. Concentrati sul governo invece che sul sistema. Chiamati a decidere dei sette anni futuri, confermando Napolitano siamo finiti a prolungare i sette anni passati.
Quali sono stati gli errori più grandi del partito e dei suoi leader dopo il voto di febbraio?
Non aver riconosciuto che il film che si erano fatti era finito. Subito. Che in condizioni normali con un voto in più del 50 per cento si può e si deve provare a governare il Paese. Ma che con il 20 per cento degli elettori si può fare strada. Ma solo all’indietro. Ma Bersani l’errore lo aveva fatto prima: provando a battere il record di chi vince le elezioni con meno voti possibili. Non è una battuta, dietro questa c’è tutta la storia del gruppo dirigente. E’ la nostra tragedia.
Può sopravvivere un partito in cui “uno su quattro”, come ha detto Bersani, tradisce?
Ce lo chiediamo in molti. Un partito che ha vissuto con la paura di discutere per timore di dividersi, è destinato a vivere di decisioni apparenti votate all’unanimità in modo palese. E a morire quando le decisioni reali vengono prese a voto segreto. Privato di un vero confronto, il collettivo non è riuscito a produrre alcuna vera solidarietà.
Visto com’è andata, lei si è pentito di aver dedicato tante energie al progetto del PD, che sembra ormai fallito?
Ci sono viaggi che si intraprendono anche senza essere sicuri di arrivare. E battaglie che si aprono senza la certezza di vincerle. Meglio rischiare di perdere che essere sicuri di perdersi.
Io non dimentico il tradimento a Bersani e Prodi : con le dimissioni di Bersani ho chiuso la TV e i giornali e aspetto solo il congresso dove voglio che quelli che non hanno votato Marini – non rispettando il voto di maggioranza del Capranica che con 220 Si 90 No e 30 astenuti – vengano declassati da parlamentari e fatti ripartire da capo ad imparare le regole di un collettivo.
E i 101 vengano smascherati e espulsi dal partito.
Per colpa loro ho perso il senso di appartenenza a questo partito.
Fioroni, Marini, D’Alema e ora anche Bersani: non è possibile rimanere in questo PD : fate qualcosa, voglio andarmene.