«IL PROBLEMA CHE STA DAVANTI AL CONGRESSO DEL PD E OUELLO DI UNA SVOLTA. LA NECESSITÀ DI UN GRANDE CAMBIAMENTO».
Ce lo ha ricordato nei giorni scorsi Alfredo Reichlin. Gli ha fatto eco, sulle pagine di questo stesso quotidiano, Giampaolo Galli con un’analisi davvero grave della situazione del Paese ma anche con quello a non dimenticare che «la risorsa essenziale» per riuscire a salvarlo resta il Partito democratico, un «bene prezioso, uno straordinario contenitore di donne e uomini onesti che sentono di avere urla responsabilità Vera verso la collettività… occorrono energia e fibra morale straordinaria, una gran voglia di cambiare, una sconfinata ambizione».
Parole sincere che ho rimuginato mentre ancora bruciava l’ennesima tensione nel Partito democratico e nel suo gruppo parlamentare. Parole che stridevarno con lo scambio di insulti tra chi aveva votato e chi non aveva votato a favore della richiesta del Pdl di sospendere i lavori d’aula nel pomeriggio sventurato dell’11 luglio. Parole che, infine, ci interrogano circa il pericolo che quel bene prezioso, messo davvero a dura prova dai fatti e dagli eventi dei mesi scorsi, finisca con l’essere dissipato. Non è cosa da poco. C’è in ballo la democrazia e il suo funzionamento. C’è in questione il futuro del Paese, la sopravvivenza dei nostri valori e la realizzazione delle speranze che non appartengono a noi nel presente ma alla storia.
Anche per questo credo che in vista del Congresso, snodo dirimente per il futuro del Pd, dobbiamo fare i conti con la necessità di «grande cambiamento» che riguarda il modo di stare insieme, di costruire una comunità e il ruolo che, in essa, ognuno di noi è chiamato o ha diritto di esercitare. Siamo sempre meno capaci di essere «noi». Siamo sempre più divisi e soli, siamo bande e non comunità, siamo irrispettosi delle ragioni altrui e per nulla desiderosi di ascoltarie, siamo ignoranti circa le risorse umane di cui il Partito Democratico dispone ma, soprattutto, siano davvero scarsi nella prova della democrazia interna. Troppo spesso arroganza o superficialità hanno portato i nostri vertici a far precipitare decisioni già confezionate sugli eletti come se fossimo davvero simili a quell’esemplare di berlusconiana memoria: un dito che vota (e, nel caso del Pdl, si esibisce in altre pittoresche manifestazioni).
Troppa distanza separa i dirigenti dal nostro popolo e dai suoi sentimenti. Quando si cerca il confronto e si rispetta la democrazia interna ad un partito si riesce ad evitare lo spettacolo deprimente andato in scena l’altro giorno con la sospensione dei lavori parlamentari. Ad uscire con le ossa rotte dal confronto con il popolo italiano dovevano essere gli esponenti del centrodestra e la loro cultura politica istituzionale.
Se non e andata cosi è per colpa della nostra incapacità di confrontarci, della scarsa pratica delle regole democratiche da parte dei nostri leader e della continua pulsione di troppi ad andare in corto circuito. Confondere continuamente il piano del governo con quello del partito o quello del Parlamento è un errore gravissimo. Lo compie chi pensa che si debbano subire i ricatti per tutelare l’esecutivo o che si possa mediare su principi e valori che invece vanno sottratti alla mediazione come il rispetto delle regole che presiedono la vita delle Istituzioni democratiche, a partire dalla più alta tra queste, il Parlamento.
Non è un caso che nel suo discorso di insediamento il primo ministro Enrico Letta abbia fatto una distinzione tra «politica» e politiche. Nostro compito e cercare intese su provvedimenti politici mediando tra posizioni diverse e partendo dai problemi (come tali da tutti riconosciuti) del Paese. Sulla «politica» non possiamo che essere radicalmente alternativi alla destra. Confonde i piani chi dimentica anche per un solo istante che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione». Confonde i piani chi pensa che il senso della «responsabilità» comporti anche l’assunzione di quelle che fanno capo al Pdl e di cui i suoi esponenti dovranno rendere conto agli italiani. Non sta a noi risolvere i loro problemi, tanto più se riguardano il padrone di quel partito. Impegniandoci piuttosto a tornare tutti al rispetto reciproco.
Solo su questa base possiamo costruire un progetto vincente per cambiare l’Italia. Qualche settimana fa mi ha colpita un’affermazione di Fabrizio Barca. Riguardava l’odio che attraversa il Pd. Mi sono sorpresa a pensare che ormai è l’elemento che caratterizza il partito.
Quale comunita può essere costruita sull’odio? Quale ambizioso progetto può essere avviato in un clima avvelenato? La responsabilità di cambiare velocemente strada è di tutti a partire da chi ha il compito di esercitare funzioni di guida sia nel partito che nei gruppi parlamentari.