La mano pesante di Erdogan contro il dissenso
Articolo di Sandra Zampa e Marietta Tidei su L’Unità del 1 novembre 2016
La ferita della lunga notte tra il 14 e il 15 luglio non si è mai rimarginata. La notte del tentativo di golpe militare in Turchia, sul quale Erdogan ha avuto la meglio, suffragato dalle piazze in festa di Istanbul e Ankara, vive a distanza di tre mesi e mezzo un pesante e preoccupante proseguio, che tutto ha tranne il sapore dell’epilogo, ma che assume invece i contorni di una ritorsione continua. Il redde rationem del presidente turco contro i golpisti e la rete che fa riferimento all’ex imam Gulen, ritenuto la mente del tentativo di colpo di Stato, non conosce battute d’arresto e assume sempre di più i contorni di un alibi per mettere in campo una rappresaglia contro chi vive da anni in una condizione di subalternità nel proprio Paese, come la popolazione curda. Non solo. La mano pesante di Erdogan tende a configurasi sempre di più come un tentativo di reprimere le voci critiche e di dissenso. L’ultimo episodio ieri: la polizia turca ha arrestato il direttore del quotidiano d’opposizione Cumhuriyet, Murat Sabuncu, e condotto raid nelle abitazioni dei dirigenti e dei giornalisti dipendenti o collaboratori del giornale. Sono stati emanati 13 mandati d’arresto per dirigenti e professionisti che scrivono sul giornale, compreso appunto Sabuncu, direttore della testata. Nomi e volti che in Turchia sono sinonimo di libertà d’espressione.
La lunga scia del golpe è viva più che mai. Non possiamo voltare lo sguardo altrove e ignorare la questione curda. Il Parlamento Europeo ha fatto un passo importante con la risoluzione approvata ad aprile, con la quale si esprime preoccupazione nei confronti dell’irrisolta questione curda, della violazione dei diritti umani e della libertà di stampa. Occorre sostenere questo sforzo. Anche noi siamo chiamati a farci portavoce di un’istanza volta a tutelare chi oggi, in Turchia, vive da “prigioniero” in casa propria. Nel Sud-Est del Paese siamo al limite della guerra civile.
A rendere ancora più evidente la posizione in cui si trova la popolazione curda sono gli arresti dei due co-sindaci della metropoli curda di Diyarbakir, Gültan Kışanak e Fırat Anli. L’arresto di Kışanak e Anli sarebbe stato avviato dalla procura generale in base a
un’indagine sul Pkk, ma i contorni di questa vicenda sono tutt’altro che chiari. Quando si arresta chi amministra una comunità è evidente che si vuole colpire la comunità stessa, delegittimando i suoi amministratori agli occhi del mondo.
Il presidente turco ha di fatto sospeso ogni misura democratica: ad oggi, sono oltre 100.000 i dipendenti pubblici licenziati o sospesi
dall’incarico e 32.000 le persone arrestate. Anche la modifica della Costituzione ha tolto l’immunità parlamentare ai deputati della Grande Assemblea nazionale della Turchia e decine di rappresentanti, ad esempio 55 su 59 membri del gruppo HDP, il partito curdo guidato da Selahattin Demirtas, rischiano di essere perseguiti per procedimenti pendenti a loro carico, molti relativi a reati di opinione.
La reazione del Governo turco al tentativo di colpo di Stato non può passare per azioni che mettano a rischio la democrazia e
lo stato di diritto nel Paese. Lo abbiamo scritto chiaramente nella risoluzione che abbiamo presentato e con la quale chiediamo al Governo di porre in essere ogni iniziativa sul piano internazionale al fine di persuadere il Governo turco a ripristinare lo stato di diritto, la libertà di stampa e di opinione, il rispetto dei diritti umani ed, in particolare, dei diritti delle donne e dei minori, oltre alle condizioni minime di agibilità politica per le opposizioni. Dobbiamo sostenere con forza, nelle opportune sedi internazionali, ogni iniziativa affinché da parte del Governo turco venga garantito lo svolgimento di un processo giusto, democratico ed equo per le persone coinvolte nel tentato golpe. Il nostro contributo per il rispetto della democrazia è doveroso.